L’entusiasmo di chi ha promosso i referendum sull’eutanasia e la cannabis è comprensibile e giustificato, avendo raggiunto le firme necessarie in pochissimo tempo, grazie all’introduzione della firma digitale (per la cannabis c’è voluta appena una settimana); l’allegra inconsapevolezza di tutti gli altri, no.
C’è una ragione se i costituenti posero come condizione per presentare un referendum la raccolta di 500 mila firme, in un’epoca in cui per mille ovvie ragioni, non ultima il fatto che gli abitanti erano 45 milioni in tutto, raggiungere quella soglia non era affatto facile. È la stessa ragione per cui decisero di consentire solo referendum abrogativi (un’altra volta parleremo anche del modo in cui tale principio sia stato poi aggirato, facendo passare per abrogativi referendum che, nel cancellare questa o quella parte di una legge, di fatto ne promuovevano una completamente diversa).
La ragione è che i padri costituenti non per caso li chiamiamo così: perché erano saggi, prudenti e lungimiranti come la tradizione vorrebbe che fossero sempre i padri, oltre che per distinguerli dai figli degeneri che sono venuti dopo, incapaci di guardare oltre le conseguenze più immediate di qualunque scelta, e spesso neppure fin lì.
Se per raccogliere le firme necessarie a presentare un referendum, con il nuovo sistema, basta ormai una settimana, tanto varrebbe non raccoglierle affatto, o quasi. È evidente che ora bisognerà trovare dei contrappesi, per evitare di essere sommersi da una valanga di referendum su tutto e il contrario di tutto, ma è altrettanto evidente che ai contrappesi avremmo dovuto pensare prima, o perlomeno contestualmente all’introduzione delle firme digitali, per evitare un’ulteriore ondata di populismo antipolitico e demagogia antiparlamentare, che adesso ostacolerà qualsiasi tentativo di riequilibrio. Già mi sembra di sentire i soliti imbonitori gridare al tentativo di silenziare la volontà popolare.
C’eravamo appena liberati delle fesserie telematico-autoritarie dei casaleggesi, scaricati persino dai grillini, ed ecco che la sempre feconda matrice del populismo italiano ha già pronto il nuovo modello, che poi è vecchissimo: quel movimento o partito dei referendum che ciclicamente torna a delegittimare il sistema politico-istituzionale, ed è anzi una delle fonti politico-culturali del grillismo.
Dopo il taglio dei seggi, avremo così direttamente la definitiva decapitazione del Parlamento, pratica e simbolica. Pratica, perché una volta che qualunque proposta potrà finire direttamente sulla scheda referendaria, a cosa servirà più il Parlamento? Simbolica, perché la retorica sull’inerzia dei partiti e delle istituzioni, cui si contrapporrebbe il movimento referendario quale unico interprete della volontà popolare, è populismo in purezza, corrispondente alla sua definizione tecnica più precisa: da un lato la vera volontà popolare, quella di chi la pensa come noi, che non rappresenta dunque una parte, ma il tutto; dall’altro la casta dei partiti, la palude del Parlamento e della democrazia rappresentativa, che non rappresenta nessuno.
Certo, contro i rischi peggiori, per la democrazia e per i diritti fondamentali della persona, c’è sempre il vaglio della Corte costituzionale. Ma a giudicare dalle manovre sottotraccia e dai segnali di intesa tra Pd (in particolare i soliti ultrariformisti) e Lega (in particolare Roberto Calderoli, che ci gioca come il gatto col topo), ci sono buone probabilità che presto, tra riduzione dei seggi e legge elettorale con effetti più o meno maggioritari, anche quell’ultimo argine verrà meno (specialmente se l’eventuale nuova legge elettorale, come dicono i retroscena, manterrà il vincolo di coalizione, con il verosimile esito di preservare l’attuale equilibrio bi-populista).
Evidentemente quanto accaduto nel cuore dell’Europa, dove democrazie giovani e apparentemente fiorenti sono scivolate un passo alla volta nell’orbanismo, non ci ha insegnato niente, nonostante nel 2018 – tre anni fa, mica trenta – abbiamo avuto ampie dimostrazioni di quanto fosse facile, anche per noi, prendere la stessa direzione.
Quando ci troveremo davanti a referendum promossi non già per espandere la sfera dei diritti civili, ma per restringerla, magari per qualcuno in particolare, magari all’indomani di qualche fatto di cronaca che prepari adeguatamente l’opinione pubblica, magari dopo opportuna campagna di fake news sulla rete e in tv, non prendetevela con i populisti. Da soli, non avrebbero potuto fare quasi nulla.