Radical shockLa sinistra che detesta i liberali ma esulta per i referendum dei liberali

Sono giorni di giubilo fra i progressisti per le firme raccolte su eutanasia e legalizzazione della cannabis: iniziative che però sono state promosse e portate avanti da quei “liberal” che gran parte dei gauchisti dileggiano, disprezzano e, non raramente, equiparano alla destra estrema

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In quel mondo che un tempo chiamavamo centrosinistra sono giorni di giubilo e felicità per il successo che stanno avendo i nuovi referendum, soprattutto quello per la legalizzazione della cannabis (che ha superato le 500mila firme) e quello per l’eutanasia legale (che ha raggiunto addirittura le 900mila). Parliamo di un esercizio di democrazia diretta che, per di più, riguarda i diritti e i cui firmatari – dati diffusi dagli stessi promotori – sono soprattutto giovani, e per la maggior parte donne. Diciamocelo, niente suona più “di sinistra” di così. Ed era ora.

C’è però un dato che si potrebbe evidenziare: questi referendum sono promossi e portati avanti da quei “liberali” che la sinistra-sinistra dileggia, disprezza e non raramente equipara alla destra estrema.

Spieghiamoci: il referendum sull’eutanasia legale è promosso dall’Associazione Luca Coscioni, il cui tesoriere e volto mediatico è Marco Cappato, cioè un radicale eletto al Parlamento europeo con la lista di Emma Bonino. Un politico che, oltre a essere un liberale, ha fatto addirittura la Bocconi (uno dei grandi spauracchi dell’ala più oltranzista della sinistra); chi ha portato avanti il lavoro per il riconoscimento delle firme digitali è Mario Staderini, già segretario dei Radicali italiani; Riccardo Magi, il volto più in vista del comitato promotore del referendum sulla legalizzazione della cannabis, è il presidente di +Europa. Il presidente del comitato promotore è, infine, Marco Perduca, radicale eletto senatore con il Pd. E hanno subito aderito al referendum, aggiungendosi a +Europa e ai Radicali italiani, solo due delle mille sigle gauchiste: Possibile e Sinistra italiana.

Non è certo la prima volta che succede che la sinistra dura e pura – che si focalizza esclusivamente su stramberie come “piena automazione” o “mondo senza lavoro” – si ritrova a gioire di nuove conquiste sociali frutto del lavoro di mediazione degli odiatissimi centristi. Era già accaduto per le unioni civili, approvate nel 2016 dal governo Renzi, e lo stesso si può dire per le nuove proposte sui temi Lgbt provenienti dall’area Pd, come il ddl Zan. Il fatto stesso che un parlamentare del Pd come lo stesso Alessandro Zan possa essere sia nel giusto sia nel Pd, in una certa bolla politica, è una specie di paradosso irrisolvibile. Ma se si approva la proposta di legge Zan, ammettere che si è d’accordo con la linea di un partito non abbastanza ribelle e rivoluzionario dovrebbe essere il più semplice e scontato tra gli esercizi di onestà intellettuale.

Ci sono dei motivi storici per cui tra alcune fazioni politiche c’è una certa incomunicabilità, certo. Ed è normale che succeda anche tra la sinistra riformista e governista e la sinistra più purista e massimalista, quella dei social, delle università e dell’attivismo. Sono divisioni di principio e di metodo sul fare politica, che capiamo senza troppi sforzi. Allo stesso tempo, però, si potrebbe sfruttare il traguardo delle firme referendarie per fare uno sforzo di riconoscimento dei meriti altrui, se non per sotterrare l’ascia di guerra, almeno per rendere il conflitto meno retorico (uno dei senatori più esposti per le battaglie referendarie, Elio Vito, è addirittura di Forza Italia sia pure di tradizione pannelliana).

Questa mancanza di fair play, a dirla tutta, non esiste solo a sinistra, anzi è piuttosto trasversale. Per questo si dovrebbe provare a riflettere su uno dei nostri limiti nel fare politica: sbagliamo perché giudichiamo le persone, e non le idee. Siamo costantemente impegnati a posizionarci, a mostrarci fra i buoni, piuttosto che concedere all’interlocutore il beneficio del dubbio. Leggiamo e ascoltiamo gli altri senza applicare il minimo principio di carità, quello per cui si interpretano le frasi altrui col significato più solido e logico possibile.

Certo, se di questa nostra infantile acrimonia politica volessimo rintracciare le cause profonde verrebbero subito in mente i social: lì siamo costretti all’immediatezza e alla brevità e gli algoritmi premiano i contenuti più litigiosi, non quelli più approfonditi. Regna l’engagement, come si dice. Ma, a ben vedere, più che di cause si tratta di detonatori: le cause sono – e non dovremmo cercare scuse – i nostri istinti, il nostro egotismo e altre forme di stupidità che non imbrigliamo con la razionalità. Tanto dal giocare al “dalli al liberale” con un tweet, e all’esultare per le firme raccolte dai liberali con quello seguente.

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