Fino a pochi mesi fa i Verdi erano, con un imponente 26% nei sondaggi, il partito tedesco favorito per la vittoria alle elezioni politiche che si sono appena concluse. La leader Annalena Baerbock, di conseguenza, sembrava la persona che più probabilmente avrebbe potuto ambire al posto di Angela Merkel, diventando la nuova cancelliera della locomotiva d’Europa – e quindi una delle persone più influenti al mondo. Le cose, però, sono andate diversamente. Quel 26% si è progressivamente ridotto man mano che la data del voto si avvicinava, prima scendendo al 20%, poi al 16%. Il risultato effettivo alle urne, poi, è stato addirittura più basso delle ultime previsioni attestandosi al 14,8%.
Anche se oggi vediamo sfumare la possibilità di una Germania governata da un cancelliere del partito ambientalista – che sul New York Times di recente è stato comunque descritto come l’unico capace di colmare il vuoto politico post-merkeliano – va detto che ci sono ottime chance che il partito Verde entri a far parte del prossimo esecutivo tedesco. Succederà sia nel caso in cui i socialisti della Spd trovino un accordo con Verdi e liberali dell’Fpd (la coalizione soprannominata “semaforo”, perché i colori dei partiti di governo sarebbero rosso verde e giallo) che nell’eventualità in cui sia la Cdu-Csu (il partito di Merkel) a trovare un accordo con gli stessi due partiti.
Insomma, il risultato dei Grüne, anche se ridimensionato, non è da sottovalutare. Anche perché ha alcune caratteristiche molto interessanti: le percentuali di cittadini tedeschi che votano verde sembrano crescere vertiginosamente col crescere del grado di istruzione. Vota per i verdi solo il 5% di chi ha solo la licenza media, ma addirittura il 26% tra chi è laureato. Che poi questa è proprio la percentuale che aveva il partito di Baerbock quando lo si dava come probabile vincente.
La domanda che in molti tra analisti, cittadini e ambientalisti si fanno in questo momento è: cosa ci dice questa parabola del partito verde tedesco? Naturalmente a poche ore dal voto è presto per giungere a conclusioni definitive, eppure alcuni punti fermi ci sono già. In pochi anni i Grüne si sono trasformati, come dice giustamente Dw, da un anti-partito a un player politico affidabile e con ambizioni di governo. Questo è palese se guardiamo a come si è evoluta la dialettica politica e il linguaggio utilizzato dagli esponenti e dai candidati, che hanno fatto molto per apparire pragmatici e capaci di gestire la complessità del paese. Ma è ancora più interessante vedere che quando il partito è passato da posizioni più idealiste ad altre più pragmatiche ha guadagnato voti anziché perderli. Rispetto alle elezioni del 2017, infatti, il 14,8% appena ottenuto significa aver quasi raddoppiato i voti.
Rimane però il “fallimento” rispetto alle prospettive dell’inizio della campagna elettorale: si prevedeva di poter “sfondare” oltrepassando la soglia psicologica del 25% e invece ci si è arenati persino sotto il 15%. Come mai? Il dato, almeno dal punto di vista elettorale, sembra indicare due problemi. Il primo è che per quanto l’ambientalismo sia una delle principali preoccupazioni dei tedeschi evidentemente non è la sola: la stabilità del paese e la sua economia evidentemente lo sono altrettanto. Non è un caso che nonostante gli sforzi dei verdi volti a rassicurare sulla propria capacità amministrativa la coalizione più temuta dai mercati fosse comunque quella più spostata a sinistra con Verdi e Die Linke (che ha preso il 4.9%). Il secondo dato, strettamente connesso col primo, è che in ogni caso il sistema elettorale tedesco obbliga i partiti a venire a patti per formare il nuovo esecutivo, gli elettori ne sono consapevoli, e quindi ha perfettamente senso che non tutti i cittadini tedeschi preoccupati per l’ambiente e la salute del pianeta abbiano votato per i Verdi. Si sa che con la percentuale attuale, anche se più bassa del previsto, potranno avere un ruolo fondamentale: l’ago della bilancia.