«È stato un processo mostruoso, era da annullare in primo grado. Averlo debellato è una prova di democrazia, finalmente. Le sofferenze le ho patite, gli stenti subiti, ma ora bisogna andare avanti e fare cose buone». Marcello Dell’Utri, già condannato a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa e tornato libero a fine 2019, parla a Repubblica dopo la sentenza di assoluzione in Appello nel processo sulla presunta trattativa Stato-mafia. Assolto «per non avere commesso il fatto». E oltre che per lui, l’assoluzione è arrivata anche per Giuseppe De Donno, Mario Mori e Antonio Subranni perché «il fatto non costituisce reato».
In primo grado, Dell’Utri era stato condannato a 12 anni. Ma i giudici di secondo grado non hanno ritenuto che l’ex senatore fedelissimo di Silvio Berlusconi fosse il collegamento fra la politica e Cosa nostra in quella che viene ritenuta la seconda fase della trattativa del 1993 e 1994.
«Ho recuperato un po’ fiducia nella magistratura: per fortuna ci sono ancora dei magistrati che guardano le cose, leggono le carte e ascoltano i difensori. Era impossibile non riconoscere l’assurdità dell’impianto accusatorio», dice. «Poteva accadere anche il contrario, il buon senso diceva che avrebbero dovuto assolvere e annullare questo processo, però purtroppo il buon senso nella giustizia non sempre funziona».
L’ex senatore racconta così gli anni del processo: «Ho vissuto un film ma la trama era inventata totalmente. Io questo processo non l’ho neanche seguito. Mi sono sentito come un turco alla predica, di cosa stanno parlando? Ma avevo paura potessero credere a queste cose inventate servendosi dei soliti pentiti che hanno bisogno di dire cose per avere vantaggi per conto loro, servendosi di molta stampa che affianca le procure e soprattutto la procura di Palermo. Ripeto, non potevo essere certo dell’assoluzione, ma la speravo intimamente».
Eppure nel processo era accusato di avere avuto un ruolo di primo piano in una trattativa che prima era stata iniziata dai carabinieri. «Non so esattamente di cosa fossi accusato», risponde. «Credo fosse per aver ricevuto minacce dai mafiosi, che dovevo riferire a Berlusconi, minacciandolo a sua volta se non avesse provveduto a fare leggi a favore dei mafiosi. Tutta una cosa allucinante. Nel governo di Berlusconi ci sono state solo leggi contro i mafiosi».
Dopo la condanna in primo grado, continua, «i miei avvocati hanno smontato il processo dalle fondamenta, ho ascoltato le arringhe e non era possibile non riconoscere l’assurdità dell’impianto accusatorio».
Ora, conclude, «mi occuperò della mia collezione di libri conservati nella Fondazione di Milano. Sto per allestire la più grande biblioteca siciliana, che è mia intenzione donare un giorno alla Sicilia».