Scienza in cuffiaPerché studiare l’origine della Terra può portarci a salvarla

Il nuovo podcast di Mario Tozzi e Guido Barbujani intreccia l’origine dell’uomo alle vicissitudini della geosfera e della biosfera. Spiegandoci che la nostra storia di esseri umani è cominciata molto prima di noi

Vincent Foret/Unsplash

La nostra storia è riflesso di quella del globo. Ne è convinto lo scienziato Mario Tozzi, che nel suo nuovo podcast “La nostra grande storia”, prodotto da Frame – Festival della Comunicazione in esclusiva per Audible, racconta il legame tra l’evoluzione dei Sapiens e le vicende della geosfera, ma anche di come la consapevolezza di questa connessione può aiutarci ad affrontare la crisi climatica e ambientale.

C’è un profondo legame tra l’evoluzione dei Sapiens e le vicende della geosfera. Se ne trova una prima testimonianza nella grande eruzione vulcanica che oltre 6 milioni di anni fa creò un‘enorme spaccatura, la Rift Valley, nella crosta terrestre in grado di dividere in due quella che prima era un’unica famiglia di scimmie: la nostra.

È questo filo rosso che Tozzi, insieme al genetista Guido Barbujani, racconta nel podcast, in cui il grande libro del mondo viene letto, in 10 episodi da circa 50 minuti l’uno, intrecciando l’origine dell’uomo – dalla discesa degli australopitechi dagli alberi – con le vicissitudini della geosfera e della biosfera, dunque di rocce ed esseri viventi. Vicende che hanno reso il globo qualcosa di unico nel sistema solare.

Così, Tozzi spiega che la nostra storia comincia molto prima di noi, in un tempo che può essere chiamato geologico. Un tempo profondo di cui la scienza ha preso consapevolezza solo recentemente con la scoperta della radioattività, che ci ha permesso di datare le rocce e iniziare a leggere un diario di pietra che ci ricorda quanto sia prezioso il nostro pianeta.

Questo podcast vede la luce grazie all’incontro di un genetista, che si occupa di ricostruire la storia degli uomini attraverso il loro patrimonio genetico, e di un geologo, che guarda alla stessa meta studiando però gli elementi fisici del pianeta. È corretto?

È così. Per quanto mi riguarda, leggo la storia dei Sapiens come riflesso di quella del pianeta. Per esempio, spiegando che noi siamo figli delle eruzioni vulcaniche. Se ci pensiamo, le più antiche impronte di una passeggiata del nostro antenato comune con le scimmie (l’australopiteco), circa 5-6 milioni di anni fa, sono fatte su una cenere vulcanica ancora calda. Ciò significa che siamo stati forgiati da eventi come questi, che hanno segnato il nostro cammino. Anche in tempi moderni, ciò che tiene insieme tanti racconti degli uomini, miti e avvenimenti cruciali sono proprio le eruzioni vulcaniche, che ad esempio spiegano nove delle dieci piaghe d’Egitto, ma anche la sconfitta di Napoleone a Waterloo, i flussi migratori ottocenteschi verso gli Stati Uniti d’America, la nascita di un libro capolavoro come Frankenstein e i tramonti meravigliosi del pittore Turner. Il riferimento è all’aprile 1815: il vulcano Tambora, in Indonesia, è esploso riempiendo con le sue ceneri l’atmosfera, creando piogge, condizioni di fango a Waterloo, tramonti rossi, distruggendo i raccolti di patate e quindi spingendo la popolazione a emigrare. Si tratta di avvenimenti tutti legati da un filo rosso, ovvero specifiche condizioni ambientali, oggi sempre più precarie a causa dell’uomo.

Divulgare l’evoluzione dei Sapiens può spingerci a preservare il pianeta, palcoscenico della nostra grande storia?
Di più, può anche fornire qualche indicazione di scenario futuro: la storia naturale, come quella degli uomini, è maestra di vita. Peccato però che non abbia degli scolari che seguano i suoi insegnamenti. Questo podcast è il tentativo di combinare i grandi elementi di riferimento fisico della storia del pianeta con quella degli uomini, la prima costituita da tempi lunghi e dilatati che diventano più ravvicinati nella seconda. In questo senso, è possibile mettere sullo stesso piano gerarchico la formazione dei pianeti, delle stelle, il Big Bang o l’estinzione dei dinosauri con l’Impero romano, il Paleolitico e il Neolitico.

Lei menziona un paradosso per il quale una specie come la nostra, nata in seguito a una catastrofe naturale, si ritrova ora a incentivarne una che potrebbe causare la sua stessa estinzione.
Noi siamo, da sempre, molto attratti dalle catastrofi. Le seguiamo morbosamente. Oggi, dopo le cinque estinzioni di massa passate, se ne prospetta un’altra di cui però l’uomo potrebbe essere non solo vittima, ma anche carnefice. Questo perché è lui che esaurisce le risorse naturali del pianeta, che porta alla scomparsa di molte specie animali e vegetali.

A quale azione i Sapiens devono dare priorità per salvarsi e salvare il pianeta?
L’obiettivo è evitare estinzioni generalizzate di viventi per due ragioni: l’estinzione di una specie è per sempre e ne richiama un’altra. In mondo in cui tutto è interconnesso, la conservazione della ricchezza della vita è il compito che i Sapiens dovrebbero darsi.

 

Tozzi al Festival della comunicazione di Camogli

Come è possibile conservare gli habitat?

Facendo un passo indietro e comprendendo che se desideriamo salvare il panda gigante o il leopardo delle nevi, perché riteniamo la ricchezza della vita un valore – peraltro alla base anche dei nostri stessi interessi economici -, dobbiamo lasciare loro uno spazio vitale almeno sei volte quello attuale. Ma questo impegno è tuttora disatteso. Lo testimoniano l’estinzione, imputabile direttamente a noi Sapiens, anche di mammiferi come la tigre marsupiale in Australia o il delfino bianco del fiume Giallo in Cina così come del dodo, uccello endemico dell’isola di Mauritius scomparso nel XVII secolo con l’arrivo di portoghesi e olandesi. Dovremmo impegnarci a lasciare spazi al mondo naturale. Invece, anche dove non costruiamo città, incrementiamo le aree destinate a coltivazioni e allevamenti intensivi.

Tornando al tema delle catastrofi, lei spiega che oggi il tasso di estinzione sarebbe superiore a quello precedente le cinque estinzioni di massa passate. Quanto dobbiamo preoccuparcene?
Il tasso di estinzione indica quante specie si estinguono in unità di tempo. Quello attuale è allarmante, addirittura superiore a quello stimato per le grandi estinzioni di massa del passato
. Oggi è anche più alto il numero di specie estinte, pure impressionante: parliamo di 30mila specie animali e vegetali l’anno (dunque più di tre ogni ora). Se è vero che le grandi estinzioni del passato sono avvenute per interazione di un agente esterno, come i meteoriti, è significativo che in tutti quei casi ci fosse una accelerazione del tasso di estinzione a valori simili di quello attuale. Questo ci deve far pensare.

Quali sono le cause dell’attuale perdita di biodiversità?
Sono lo sconvolgimento degli habitat naturali, la caccia, la pesca industriale, l’eccessivo prelievo indotti dall’uomo, una specie che butta all’aria gli ecosistemi e che si è adattata molto bene all’ambiente a spese però di altri habitat di esseri non umani da cui però dipende anche la sua sopravvivenza. Se continuiamo a depauperare la biodiversità, anche i servizi offerti dalla biosfera – come aria e acqua pulite, immagazzinamento di anidride carbonica e produzione di medicinali – scompaiono.

Nel podcast ha spiegato che oggi la biosfera soffre anche a causa di una vera e propria aggressione tecnologica. Perché pensa questo?
Noi cerchiamo come salvifica la via tecnologica. Eppure, non ricordo usi tecnologici se non quelli per riparare danni commessi da una tecnologia precedente.

Ma il problema principale è di altra natura: demografico. È corretto?
Siamo diventati tanti, troppi, e abbiamo capito che non possiamo vivere su un pianeta fatto solo di Sapiens e specie addomesticate ma che necessitiamo di tutta la ricchezza della vita.
 A livello di consumo, il pianeta Terra dovrebbe essere abitato da 2 miliardi di persone. Attualmente siamo in eccedenza, e non di poco. Tuttavia, penso che oggi la Terra sia in grado di ospitarci nel numero attuale a patto di fare un passo indietro e ridurre i nostri consumi medi. Ma ci ostiniamo a rimanere sulle nostre posizioni perché non intendiamo rinegoziare i nostri valori fondanti. Questo provoca importanti danni a cascata. L’attuale scompenso sociale è un riflesso della crisi ambientale: gli Stati più ricchi, e inquinanti, non affrontano questa emergenza, che dunque viene scaricata sulle spalle della parte di mondo più povera. E questo apre la strada a un ulteriore problema.

Si riferisce a quello dell’immigrazione?
Esatto. Tra 20 anni oltre 250 milioni di Sapiens migreranno da un angolo all’altro del pianeta. Se un 20 per cento di loro sarà obbligato ad abbandonare la propria casa a causa di conflitti, per il restante 80 per cento la ragione andrà ricercata nel clima che cambia anche a causa dei Sapiens. Pensi al paradosso: parliamo di persone che non solo saranno costrette a migrare perché casa loro non ci sarà più ma anche di individui che da questa situazione avranno solo svantaggi. Così, lo sviluppo impetuoso dell’Occidente ricco viene pagato da altre persone e dall’ambiente. Ed è proprio questa meccanica insana a produrre gli scompensi che oggi affliggono la Terra.

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