Il principale argomento dei no vax o esitanti, usato soprattutto da quelli più informati, è che i vaccini anti-Covid-19 non proteggono contro l’infezione e non si sa neppure quanto a lungo duri l’immunità che conferiscono. Apparentemente meno di un anno per i vaccini a due dosi, anche se con una certa variabilità, per cui si spera che una terza susciti una memoria a più lungo termine. I primi per i quali ci si augura che questo avvenga sono le persone con il sistema immunitario indebolito e gli operatori sanitari, che tuttavia non hanno caratteristiche biologiche che li rendano, ipso facto, i candidati più promettenti.
Nell’immaginario meccanicista, semplificato e deterministico a cui ricorriamo intuitivamente tutti nella speranza che un problema o una minaccia siano gestibili, tendiamo a credere che come nel cartone animato di una famosa serie educativa francese sul corpo umano (Siamo fatti così), il sistema immunitario di ognuno di noi sia organizzato come un esercito efficiente e standardizzato di fronte alla pandemia e alla campagna di vaccinazione. Per cui quando attraverso il vaccino arriva l’informazione sulle caratteristiche del coronavirus da usare per riconoscerlo, le truppe potranno attrezzarsi nel modo ottimale producendo gli anticorpi specifici e le cellule della memoria. E ciò dovrebbe avvenire precisamente allo stesso modo in ogni persona.
Ci aspettiamo anche che il sistema immunitario conservi un ricordo il più duraturo possibile dell’istruzione ricevuta, come nel caso delle vaccinazioni contro morbillo e polio. Dimenticando che una protezione che può durare tutta la vita non è la regola e per esempio si riduce a dieci anni circa per tetano e papilloma virus e a meno di un anno per l’influenza.
Non esiste una legge meccanica con cui calcolare la durata della protezione e il livello di anticorpi contro la SARS-CoV-2. Raccogliere quest’ultima informazione, che è la più importante e che conosciamo per tetano, difterite, morbillo e vaiolo, sarebbe forse possibile, ma richiederebbe esperimenti sull’uomo che difficilmente la nostra società considererebbe etici. Un fatto, prevedibile, è che i vaccini che usano virus che si replicano, come il morbillo e vaiolo, producono un’immunità più duratura.
Il sistema immunitario è la macchina biologica più complessa che esista, dopo il sistema nervoso. E hanno diverse proprietà in comune, in primo luogo la capacità di apprendere dall’esperienza, che consente appunto di vaccinarci. Banalizzarne il funzionamento paragonandolo a un esercito è una fuorviante antropomorfizzazione. Scienziati ed esperti avrebbero dovuto spiegare all’opinione pubblica che l’immunità è l’unica risorsa che abbiamo per uscire dalla pandemia. E che l’immunità non è data dal vaccino, ma si tratta di una condizione naturale per ogni persona sana, che prevede l’uso di informazioni esterne (il patogeno naturale o il vaccino) per proteggere l’organismo.
Tra infezione naturale e vaccino, la prima modalità è più pericolosa e per l’individuo è irrazionale, se la patologia in questione ha comunque un tasso di mortalità rilevante. Resistere o essere renitenti alla vaccinazione non significa tanto negare l’efficacia del vaccino o affermarne la pericolosità, per qualche fraintendimento cognitivo, ma abdicare a usare le difese che ognuno di noi porta dentro e quindi la più naturale delle risorse sanitarie che con il tempo e poi grazie alla scienza abbiamo imparato a usare.
Il principale fraintendimento che produce una concezione meccanicistica e deterministica del vaccino è che il vaccino protegga nel 100% dei casi e che la protezione debba riguardare infezione, malattia e trasmissione. L’infezione è un fenomeno molto complesso e il patogeno che entra nell’organismo e vi si riproduce può essere intercettato in modi diversi e con diversa efficacia a seconda delle condizioni: questi vaccini sono stati sperimentati e autorizzati contro la malattia, per cui non sono studiati per impedire l’infezione o bloccare la trasmissione. Per gli scopi studiati funzionano benissimo e infatti abbattono enormemente (intorno al 90%) le ospedalizzazioni e le forme gravi.
La discussione sulla terza dose dei vaccini anti-Covid-19 non è stata anch’essa impostata nel modo più intelligente. Prendiamola alla larga. Fino a due anni fa in questo paese ogni cittadino maggiorenne poteva recarsi in farmacia dal mese di ottobre, acquistare una dose di vaccino antinfluenzale e autosomministrarsela. Uno di noi (Gilberto Corbellini) così faceva da almeno una trentina di anni. L’anno scorso non era possibile vaccinarsi contro l’influenza liberamente, ovvero ci si doveva recare dal medico e farsi prescrivere il vaccino, quindi andare in farmacia per ottenerlo (dove però non c’era!) e chi lo avesse trovato doveva tornare dal medico per l’iniezione. Quindi niente vaccinazione antinfluenzale, scommettendo sull’efficacia della mascherina, del distanziamento e dell’antagonismo fra patogeni. È singolare che il ministero della Salute disincentivi la libera scelta di vaccinarsi!
Si naviga molto a vista per quanto riguarda la terza dose dei vaccini anti-Covid 19, che viene indicata al momento solo per chi ha un’immunità debole, è più a rischio per la malattia o lavora in ambito medico-sanitario. L’informazione è ambigua anche per quanto riguarda i vaccini che necessitano di un richiamo e i vaccini con cui va fatto il richiamo: che fare per Johnson&Johnson che è monodose? Il richiamo va fatto sempre con il vaccino originale, cioè usato nella prima/seconda dose? Si deve e può fare il richiamo con Oxford/AstraZeneca?
Non è chiaro se servirà per tutti il richiamo perché in effetti ancora non si sa qual è la soglia anticorpale protettiva contro il Coronavirus, ma è probabile.
Se c’è una cosa che dovremmo avere imparato in questi anni è che i contraccolpi psicologici dell’epidemia sono molto rilevanti. La stima del rischio di contrarre Covid-19 è diversa da parte di ciascuno di noi: in parte per il nostro stile di vita, in parte per le preoccupazioni, legittime, che abbiamo imparato ad avere. Ci sono, detto altrimenti, persone che senza terza dose, pur magari non essendo né immunodepressi né medici o infermieri, si sentiranno poco protetti. Questo avrà conseguenze: sui loro comportamenti, sulle loro scelte di vita, persino sulle loro convinzioni circa il modo in cui funziona o meno la società.
I vaccini per la terza dose, oggi, non sono così scarsi da richiedere un razionamento da parte dello Stato. Proprio per questo, bisognerebbe avere il coraggio di restituire, almeno in questo, un po’ di normalità alle persone e liberalizzare la scelta di fare, già ora, la terza dose.
Rendere liberamente acquistabile il vaccino in farmacia per l’autosomministrazione, parallelamente al lavoro di reclutamento e vaccinazione delle persone più a rischio. Si potrebbe passare attraverso il medico di medicina generale, ma dovrebbe essere una libera scelta individuale quella di vaccinarsi sulla base di valutazioni personali, dal momento che il vaccino è autorizzato come sicuro.
Non è mai troppo tardi per incominciare a trattare i cittadini da adulti responsabili. Se i no vax sono liberi di non vaccinarsi – e se non creano problemi di salute pubblica è bene che sia così – anche chi invece riconosce l’utilità e la sicurezza dei vaccini dovrebbero essere libero di vaccinarsi nella misura in cui la questione della terza dose basculante nell’incertezza.