Il commissario per l’Ambiente dell’Unione europea, il lituano Virginijus Sinkevičius, lo scorso 13 ottobre ha detto che: «la regione artica si sta riscaldando tre volte più velocemente del resto del pianeta. Lo scioglimento dei ghiacci e il disgelo del permafrost nell’Artico accelerano ulteriormente il cambiamento climatico e hanno enormi effetti a catena». Quella di Sinkevičius è una dichiarazione in linea col suo ruolo, ma evidenzia una novità nella politica europea: la crescente attenzione per l’Artico.
Il motivo per cui l’Artico ha un’importanza in aumento sta nel fatto che, essendo una delle zone della Terra che si riscalda più rapidamente, subisce anche drastici mutamenti. E questi mutamenti hanno importanti conseguenze economiche e geopolitiche, come lo scioglimento dei ghiacci e la conseguente riduzione delle dimensioni della calotta polare, che permettono di espandere le rotte commerciali nell’area oltre a facilitare la ricerca di combustibili fossili.
Ben tre degli otto paesi che hanno una porzione di territorio nel Circolo polare artico appartengono all’Unione: la Finlandia, la Svezia e – tramite il territorio della Groenlandia – la Danimarca. Poi ci sono Norvegia e Islanda, che non fanno parte dell’Ue ma hanno forti legami politici e commerciali con l’Unione. Infine, godono di un diretto accesso all’Artico gli Stati Uniti (tramite l’Alaska), il Canada e la Russia – insomma, tutti i paesi che hanno diretto accesso all’area fanno parte del blocco occidentale, tranne uno.
L’intenzione dell’Unione è quella di proteggere l’ambiente dell’Artico, sia intervenendo sulle cause del riscaldamento globale sia evitando nuove ricerche di petrolio o gas naturale nell’area. Per farlo, la Commissione europea punta a «un obbligo legale multilaterale per impedire un ulteriore sviluppo di riserve di idrocarburi nell’Artico o nelle regioni contigue». Con tutta probabilità il patto prevederà anche l’impegno formale a non comprare i combustibili fossili provenienti dall’area artica.
Ovviamente un patto del genere non può riguardare solo i membri dell’Unione: anche gli Stati Uniti, con l’arrivo alla Casa Bianca di Joe biden, hanno fatto marcia indietro rispetto alle decisioni di Donald Trump e deciso di sospendere le licenze per l’esplorazione e la ricerca di petrolio nell’Artic National Wildlife Refuge. Mentre il Canada aveva già fermato le trivellazioni con una moratoria votata nel 2016.
Eppure, l’obiettivo di salvaguardare l’Artico non è considerato facile da raggiungere, e il motivo è che la Russia non sembra essere intenzionata a unirsi a qualsivoglia moratoria di questo tipo. Per Mosca, le risorse estratte nell’Artico valgono il 10% del Pil e circa il 20% delle esportazioni. A dirlo è stato nel 2019 Nikolay Korchunov, l’ambasciatore di Mosca per la regione artica, che nella stessa occasione ha aggiunto anche che gli investimenti russi in quell’area avrebbero potuto superare i 74 miliardi di euro entro il 2025.
Una dimostrazione pratica della differenza di vedute di Mosca sull’Artico è arrivata nell’estate del 2020, quando la compagnia petrolifera statale russa Rosneft ha iniziato le perforazioni in due pozzi nel Mare di Kara, nell’Artico russo. I lavori sono cominciati subito dopo che un tentativo simile era stato sospeso a causa di alcune sanzioni occidentali.
Parallelamente alla protezione dell’ambiente, come dicevamo poco fa, per l’Unione europea c’è anche un altro obiettivo: il monitoraggio di una zona che sta diventando uno snodo geopolitico sempre più importante. A questo proposito Josep Borrell, vicepresidente della Commissione (nonché alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza), ha detto che siccome «l’Artico sta cambiando rapidamente a causa dell’impatto del riscaldamento globale, della maggiore concorrenza per le risorse naturali e delle rivalità geopolitiche», allora l’Unione deve «definire ampiamente i suoi interessi geopolitici per promuovere la stabilità, la sicurezza e la cooperazione pacifica nell’Artico».