Il cambiamento climatico sta creando un nuovo fronte politico internazionale: quello delle piccole isole, degli atolli e gli arcipelaghi tropicali, tutti particolarmente minacciati dal cambiamento climatico. A noi italiani, che viviamo in un paese prevalentemente collinare e montuoso, l’innalzamento del livello del mare appare ancora come una prospettiva lontana e catastrofica che sì, sarà pure all’orizzonte, ma non ci riguarda direttamente. In altre parti del mondo, però, le cose stanno molto diversamente. Come ai tropici.
«Tuvalu rimarrà uno stato membro delle Nazioni Unite anche se sarà sommerso? E chi ci aiuterà?» se lo è chiesto Kausea Natano, il primo ministro del piccolo paese circondato dall’oceano Pacifico. La preoccupazione di Natano è fondata: Tuvalu è composto da quattro isole e ha una superficie totale di circa 26 chilometri quadrati, ma il punto più alto dell’intero territorio misura solo 4,5 metri sul livello del mare.
Se le maree aumenteranno d’intensità, effettivamente, il paese divenuto membro dell’Onu nel settembre del 2000 potrebbe essere completamente sommerso nel giro di pochissimi anni. Così quella che era una nazione rappresentata all’Assemblea delle Nazioni Unite, diventerà solo un nuovo pezzetto di fondale marino, abitato da pesci e molluschi. Per noi umani, a quel punto, Tuvalu sarà visitabile soltanto muniti di maschera e boccaglio facendo snorkeling o immersioni.
La possibilità che alcuni paesi scompaiano sotto il livello del mare è così concreta che la diplomazia internazionale lo sta già, diciamo così, dando per scontato. Un esempio concreto: lo scorso agosto un gruppo di nazioni insulari del Pacifico (di cui fa parte anche Tuvalu) ha dichiarato ufficialmente che «i loro tradizionali confini rimarranno intatti, anche se le loro coste saranno perennemente sommerse».
Ma è difficile dire cosa accadrà concretamente se questi piccoli stati verranno davvero sommersi, è probabile che questi nuovi tratti di superficie marina verranno contesi sui tavoli internazionali. Il motivo è che uno stato per essere riconosciuto come tale deve avere necessariamente – per la definizione che è stata sancita dalla Convenzione di Montevideo – una popolazione, un territorio definito, un governo e la possibilità di venire a contatto con altri stati. Ed evidentemente almeno la seconda di queste caratteristiche verrebbe a mancare.
Ecco che nel caso di Tuvalu, per esempio, gli stati più vicini e che potrebbero quindi ambire a controllare o acquisire quel territorio sono Figi e Vanuatu, ma sarà una questione di dispute diplomatiche, di mediazioni con gli attori regionali più potenti (come l’Australia), senza contare che anche gli stessi Figi e Vanuatu sono minacciati dall’effetto che il cambiamento climatico sta avendo sul livello del Pacifico.
Il problema dell’innalzamento del livello del mare, infatti, è serio e urgente anche per i paesi che non rischiano di essere sommersi completamente, come le stesse Figi. L’acqua salata sta infiltrando le falde d’acqua dolce compromettendo sia le coltivazioni più vicine alle coste che l’approvvigionamento di città e villaggi.
I paesi che stanno toccando con mano l’emergenza dell’innalzamento del livello del mare sono 38. Il loro obiettivo è di creare un fronte comune. Già Danny Faure, ex presidente delle Seychelles, nel 2018 era intervenuto all’Assemblea delle Nazioni Unite (peraltro parlando poco dopo Donald Trump), sostenendo che il problema è reale e molto urgente: «Ne vediamo gli effetti nelle nostre linee costiere in erosione e nei modelli meteorologici imprevedibili», e ancora, «vediamo i suoi effetti sulle nostre barriere coralline e sull’aumento del livello del mare».
La particolarità che unisce questi 38 stati (oltre alla possibilità concreta di essere sommersi dall’acqua e perdere parti o tutto il loro territorio) è che l’economia si basa in larga parte sul turismo. L’innalzamento del livello del mare quindi, ancora prima di sommergerli, erodendo spiagge e mettendo in pericolo strutture turistiche e villaggi, potrebbe compromettere una delle prime fonti di reddito, proprio quella del turismo, impoverendo la popolazione e rendendoli quindi instabili politicamente. Il rischio del collasso di questi 38 stati, quindi, è ancora più vicino nel tempo di quanto si potrebbe pensare.
Intanto, sempre ai tropici, si sommano all’erosione costiera e all’innalzamento del livello del mare i cicloni e gli eventi atmosferici estremi in aumento. La prima ministra della Nuova Zelanda, Jacinda Ardern, durante un incontro diplomatico tenuto a New York pochi giorni fa avrebbe detto, parlando dei suoi recenti viaggi a Samoa, Tonga, Niue e Isole Cook «I cicloni lì non sono un evento nuovo, ma la scala delle devastazioni recenti invece lo è».