Winter is comingLe conseguenze della Brexit e il malcontento dei conservatori incombono su Boris Johnson

Il Congresso dei conservatori di Manchester è il banco di prova per il primo ministro britannico, in calo nei consensi a causa della scarsità di merci e beni. A rischio anche il Natale: mancano alberi natalizi e tacchini, piatto tradizionale della festività. Domani il premier proverà a dimostrare sul podio di non aver perso il suo magic touch, al suono del suo slogan «BuildBackBetter»

LaPresse

In un paese dove gli scaffali dei supermercati sono vuoti ed è stato mobilitato l’esercito per rifornire di carburante i distributori, i conservatori si riuniscono a Manchester. Il congresso serve tanto allo sfoggio di un’unità sempre più di facciata quanto a misurare la leadership di Boris Johnson, appannata dall’emergenza degli “shortages” che è stata innescata dalla stretta sull’immigrazione decisa dal suo partito. 

Il primo ministro sta giocando sulla difensiva, è una novità. Si trova ad ammettere che la penuria di beni potrebbe protrarsi sino a fine dicembre. La tenuta del consenso potrebbe misurarsi anche sul clima delle feste: nel 2020 Johnson fu costretto dalle varianti del Coronavirus alla marcia indietro verso l’isolamento collettivo dopo aver promesso un minimo di calore familiare, quest’anno i sudditi della Regina potrebbero non perdonargli una scarsità di prodotti che – come ha riassunto la BBC – si estende persino al latte, ai giocattoli e agli alberi di Natale. 

Le contromisure di Downing Street sembrano correttivi alla Brexit, in una specie di conflitto di interessi. Anche se la dipendenza dall’estero di certi comparti era un problema strutturale, la risposta all’emergenza è una massiccia iniezione di lavoratori con cittadinanza comunitaria. 

Sono stati promessi 5mila visti aggiuntivi per i camionisti e altri 5.500 nella filiera del pollame. È troppo tardi, secondo il settore. Per la Traditional Farm Fresh Turkey Association, una delle associazioni di categoria, c’è il rischio di non riuscire a soddisfare gli ordinativi per Natale dei tacchini, uno dei piatti tradizionali, con un rialzo dei prezzi in alcuni casi del 400%. 

In mezzo a quello che i media definiscono «l’inverno del malcontento» – come quello degli scioperi del 1978-1979 che portarono all’implosione i laburisti e al govero di Margaret Thatcher – i conservatori celebrano un congresso attraversato da spinte centrifughe. 

Starà a Johnson, l’artefice del trionfo elettorale del 2019, sedare il caos, dimostrare di non aver perso il magic touch e, soprattutto, il grip su un partito che ha trasformato a propria immagine e somiglianza. 

Stona l’intervento del ministro alla Brexit Lord Frost, vecchia conoscenza perché capo negoziatore a Bruxelles, sull’inizio del «Rinascimento britannico». Parole che denotano una certa dissociazione da una realtà fatta di beni che scarseggiano e, fino a ieri, file ai benzinai. Frost torna a minacciare Bruxelles d’essere pronto a innescare l’articolo 16 sull’Irlanda del Nord, l’opzione che sospenderebbe unilateralmente l’attuale protocollo. La commissione europea ormai ci è abituata. È stato lo stesso Frost a chiederle l’ennesimo rinvio (stavolta fino a gennaio 2022) dei controlli doganali sulle importazioni dall’Europa.

Intanto, il ministro delle finanze Rishi Sunak si impegna a tagliare le tasse, ma non prima di aver riassestato i conti pubblici su una «base sostenibile». Un colpo al cerchio, uno alla botte. Non a caso, è uno tra i nomi spendibili per la successione, quando arriverà il momento. Il punto è proprio quel quando.

A settembre, le imposte erano state alzate su diktat di Johnson, che si era inimicato parte del partito, storicamente avverso ad aumentare la pressione fiscale. «Siamo diventati tutti quanti socialisti», ha contestato un parlamentare di rango ed ex ministro come Steve Baker. Il nuovo piano per la «health and social care» ha significato un balzello dell’1,25%, tale e quale per dipendenti e datori di lavoro, sugli stipendi. 

Una mossa da 36 miliardi di sterline in tre anni. Parecchi parlamentari temono che possa costar loro la rielezione nel 2024. «Questo è un nuovo ruolo permanente per il governo», ha fatto mettere agli atti Sunak in quell’occasione, sposando la dottrina del premier.

I conservatori di oggi non sono più quelli dei tempi della Thatcher, ma parte della base elettorale è la stessa. Infatti, Sunak ha elogiato come da cerimoniale i suoi predecessori per aver puntellato l’economia negli anni dell’austerità. Da un lato riconosce i presupposti delle manovre, dall’altro ammicca all’establishment del partito. 

Johnson salirà sul podio domani. Lo slogan sdoganato anche su Twitter è #BuildBackBetter: una ricostruzione implica delle rovine, o quantomeno qualcosa da ristrutturare. Solo che i conservatori guidano ininterrottamente il paese dal 2010. Anche la first lady Carrie si rivolgerà alla platea, il suo discorso verterà sulla difesa dei diritti LGBT+. 

Il primo ministro ha già annunciato che entro il 2035 sarà «green», cioè proveniente da fonti rinnovabili, tutta l’energia elettrica prodotta in Gran Bretagna. Parlerà (anche) di clima e transizione ecologica a un partito votato da fasce anagrafiche di boomers. È questo il nuovo corso dei Conservatives. 

Ma Johnson tenterà anche di valorizzare il «capitale politico» della crisi degli approvvigionamenti. Il suo idolo, è noto, è Winston Churchill: con i dovuti distinguo, potrebbe provare a presentarsi come un premier «di guerra». Con la stessa retorica, venderà le difficoltà del presente come l’anticamera di un futuro migliore. «Quando la gente ha votato per il cambiamento nel 2016 – ha detto Johnson alla BBC – ha votato per la fine di un modello rotto del Regno Unito, un’economia basata su stipendi da fame, scarsa preparazione e una cronica bassa produttività, noi vogliamo lasciarci alle spalle tutto ciò».

Tutte le strade portano alla Brexit. Come ha scritto Politico.eu, il divorzio dall’Unione Europea domina ancora il dibattito tra i conservatori, anche ora che s’è consumato. I suoi effetti, però, continuano a farsi sentire.

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