Il motivo per cui sono i giovani a essere più preoccupati per la crisi climatica è – se volessimo trovare un sintesi cruda ma efficace – che saranno loro in prima persona a subirne le conseguenze. È una questione di tempi e di aspettative di vita: visto che i cambiamenti climatici hanno conseguenze che si misurano in decenni, chi oggi ha settanta o ottant’anni ha poche possibilità di vivere abbastanza a lungo da vedere coi propri occhi i danni causati dal riscaldamento globale. Al contrario chi oggi ha quindici, venti o trent’anni, dovrà sicuramente averci a che fare.
Le conseguenze del cambiamento climatico non sono soltanto ambientali. Un clima che cambia così rapidamente causa inondazioni, siccità ed eventi atmosferici estremi, ma di conseguenza anche migrazioni, carestie, instabilità politica e danni economici. Anche queste conseguenze non-ambientali ricadranno sui più giovani. Un esempio su tutti: la disoccupazione, come sappiamo, non è una piaga che affligge le persone in età pensionabile, ma chi un’occupazione la cerca e, soprattutto, chi entra per la prima volta nel mercato del lavoro: quindi proprio i più giovani. Insomma, quando parliamo di crisi climatica ci riferiamo anche a una questione di “giustizia intergenerazionale”.
Chiedere che ci sia una “giustizia” tra le diverse generazioni non riguarda solo il chi subirà le conseguenze del cambiamento climatico, ma anche l’assunzione di responsabilità di chi ha contribuito a causarlo, questo cambiamento. Evidentemente parliamo di nuovo dei più anziani, visto che la responsabilità delle scelte industriali e politiche prese oggi e in passato non può essere di adolescenti e giovani, che non hanno mai ricoperto incarichi né votato o espresso preferenze. Quelle scelte, che hanno causato quel preciso inquinamento, sono state prese su mandato di un elettorato, soprattutto quello che oggi ha un”età più avanzata.
Per questo la grande preoccupazione dei più giovani per il cambiamento climatico non è solo altruista, ma è anche egoista: è una preoccupazione per sé stessi, oltre che per gli altri. E di conseguenza non dimostra solo un generico senso civico dei giovani e giovanissimi, ma anche una serie di richieste molto concrete che riguardano la loro vita e il loro futuro.
In questo senso chi oggi protesta per il clima tocca un tema concreto e pregno di conseguenze. Tanto quanto lo è, per esempio, quello del lavoro, cioè un tema su cui si protesta da secoli, e che nessuno si sogna di tacciare di idealismo o di ingenua astrattezza.
La giustizia intergenerazionale, peraltro, non riguarda solamente il cambiamento climatico, ma tutte le decisioni politiche ed economiche con effetti a lungo termine. Che conseguenze hanno le attuali politiche demografiche? A cosa porteranno, tra qualche decennio, le decisioni prese oggi sul fare debito, sul rifinanziare Alitalia, sul decidere per quota 100, sulla viabilità o gli investimenti fatti sulla sanità? Sono domande che troppo spesso noi elettori non ci poniamo, e che di conseguenza non diventano i temi attorno a cui si fanno le campagne elettorali e, poi, i governi.
Se, anche grazie alle proteste per la crisi climatica, riuscissimo finalmente a guardare al futuro e non solo al presente, e a usare una prospettiva di lungo corso nel prendere decisioni, il problema della giustizia intergenerazionale sarebbe risolto. E a ben vedere potremmo sperare di risolvere anche quello del populismo, visto che pretenderemmo da candidati e dirigenti progetti credibili e pianificazioni realistiche, rispedendo al mittente bufale, soluzioni semplicistiche e vane promesse da arringapopoli.