Il recente aumento del prezzo delle bollette – annunciato in Italia per la prima volta a metà settembre dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani – ha riacceso i riflettori su un tema più vecchio e intricato: la dipendenza europea dal gas russo. L’energia elettrica consumata dentro i confini dell’Unione Europea dipende per il 20% dal gas proveniente dalla Russia. Ma per paesi come l’Italia la percentuale arriva a essere superiore al 40%. Nel 2019, per esempio, è stata del 47%.
Dallo scorso marzo il prezzo del gas naturale è più che triplicato: dai 18 euro circa per megawattora di marzo agli oltre 60 euro di fine settembre. Succede per via del forte aumento della domanda di energia dovuto alla ripresa dei consumi e quindi delle attività industriali e produttive, ma questo non è l’unico motivo. Secondo diversi esperti la carenza di gas in Europa sarebbe dovuta anche a una precisa volontà politica del Cremlino. Infatti le esportazioni di gas naturale russo – soprattutto metano, quello che usiamo quotidianamente in cucina – in realtà non sono diminuite ma cresciute: la produzione di Gazprom, la grande azienda statalizzata russa, è cresciuta addirittura del 17.3%, arrivando a superare i 378 miliardi di metri cubi nei primi nove mesi di quest’anno.
Un ruolo centrale in questa crisi energetica lo ha Nord Stream 2, il gasdotto che collega direttamente la Russia con la Germania, e di conseguenza col resto dell’Unione Europea. A dirlo è stato lo stesso presidente russo Vladimir Putin, che alla conferenza sull’energia tenuta a Mosca ha detto che: «Naturalmente, se potessimo espandere le forniture lungo questa via, allora, al 100%, posso dire con assoluta certezza che la tensione sul mercato europeo dell’energia diminuirebbe significativamente, e questo influenzerebbe i prezzi, ovviamente. Questa è una cosa ovvia».
Nord Stream 2 è il più grande gasdotto al mondo, è lungo 1230 chilometri ed è stato costruito parallelamente a un altro gasdotto, Nord Stream 1, lungo 1224 chilometri. L’idea è quella di potenziare la capacità russa di rifornire la regione dell’Europa occidentale di gas naturale ed è per questo che Putin lo ha citato come la naturale soluzione all’attuale carenza energetica. Il progetto, però, è anche al centro di alcune importanti tensioni politiche.
Nord Stream 2 è stato completato lo scorso settembre con l’ultima parte allacciata sul fondo del Mar Baltico, ma non è ancora entrato in funzione perché si attende il via libera dal governo tedesco. Il gasdotto si inabissa in Russia nei pressi di Vyborg, non lontano dal confine con la Finlandia, e passa a largo delle coste finlandesi per poi sfiorare quelle di Estonia, Lettonia, Svezia, Lituania e Polonia. Infine torna sulla terra ferma in Germania, vicino alla cittadina di Greifswald. Da qui poi si allaccia alla rete di distribuzione dell’Unione Europea.
Le preoccupazioni nascono perché molti politici e osservatori ritengono che la Russia usi le esportazioni di gas naturale come un’arma politica, per espandere la propria influenza e indebolire il blocco politico europeo. Prima della costruzione dei due gasdotti Nord Stream il gas russo passava via terra, attraverso i territori di Ucraina e Bielorussia. Ora invece, con il completamento di Nord Stream 2, il gas potrà di fatto bypassare i paesi dell’Europa orientale dando al Cremlino la possibilità di applicare pressioni politiche specifiche interrompendo le forniture di gas ai singoli paesi dell’est, mantenendo però il conveniente flusso di esportazioni verso l’Europa occidentale.
Che questa spaccatura tra Europa dell’est e dell’ovest sia un obiettivo politico della Russia di Vladimir Putin sarebbe evidente anche da decisioni russe prese al di fuori del mercato dell’energia. Durante la campagna vaccinale, per esempio, Mosca ha consegnato a paesi come l’Ungheria e la Serbia significative quantità di vaccino Sputnik V a costo di rimanere indietro con le vaccinazioni in patria. Ma torniamo a Nord Stream: per completare l’opera si è arrivati a un accordo politico, voluto anche dall’amministrazione statunitense di Joe Biden, che prevede formalmente che nel caso in cui la Russia usasse le forniture di gas per isolare o mettere pressione agli stati dell’Europa orientale allora spetterà a Berlino imporre sanzioni contro Mosca.
Putin ha più volte smentito l’ipotesi per cui il Cremlino starebbe già usando le forniture di gas come leva politica, fatto sta che intorno a Nord Stream 2, nonostante l’opera sia completata da oltre un mese, le preoccupazioni non sembrano placarsi. Paesi come l’Ucraina – che è tutt’ora in guerra con la Russia – temono di perdere centralità e un’importante fonte di reddito che proveniva proprio dalle tasse applicate al passaggio del gas russo. Lo stesso discorso vale per le Repubbliche Baltiche, che oltre a temere un ipotetico isolamento energetico in futuro, temono anche che questo possa avere effetti diretti sulla loro indipendenza.
A monte di tutti questi problemi, c’è stata la scelta politica di affidare il mercato energetico europeo a poche fonti di approvvigionamento senza pensare alle conseguenze a lungo termine. Come scrive Robinson Meyer sull’Atlantic: «Nell’ultimo decennio, i governi e le aziende hanno costruito il sistema energetico globale intorno al gas naturale senza pensarci due volte; era il combustibile più economico e facile da integrare nei sistemi esistenti, così la sua quota di produzione di energia è cresciuta sempre di più. Ora si stanno imbattendo per la prima volta nei suoi problemi».