Una serie di sfortunati eventiPerché il mondo di colpo è a corto di energia

I paesi di tutto il pianeta stanno sperimentando seri problemi con l’approvvigionamento energetico: per spiegarne i motivi bisogna considerare fattori come la pandemia, la ripartenza dei consumi e un insieme di contrattempi che non ci volevano

Nasa/Unsplash

Nel mondo – come sappiamo per via dell’aumento del prezzo delle bollette – il mercato dell’energia sta subendo degli importanti scossoni (nel suo ultimo numero, l’Economist li ha definiti collettivamente «il primo grande spavento dell’era green). I motivi sono tanti, e non sempre connessi tra loro. Per esempio paesi come il Regno Unito hanno ricavato molta meno energia del solito dai loro impianti eolici costieri per via di venti meno costanti di quanto non ci si aspettasse. L’India invece ha avuto dei seri problemi con l’estrazione del carbone per via di importanti piogge e alluvioni che hanno rallentato anche il trasporto del combustibile. I Paesi Bassi hanno un problema ancora diverso: per via del rischio sismico hanno dovuto iniziare le procedure per la chiusura di un grande impianto di estrazione di gas naturale, il giacimento di Groningen. Ma oltre a questi problemi, tutti diversi e riguardanti singoli stati, il motivo per cui in queste settimane il mondo intero è a corto di energia è essenzialmente: sono tornati a crescere i consumi. 

Il motivo per cui in questi ultimi mesi sono tornati a crescere i consumi è che in molte zone del mondo, grazie ai vaccini, è diminuita l’intensità e la pericolosità della pandemia. Insomma qualcosa che, almeno in teoria, era ampiamente previsto accadesse. Allora come mai sembriamo essere impreparati? Il motivo è circolare: la ripresa dei consumi ha avuto come conseguenza l’aumento della richiesta di materie prime come carbone, petrolio e gas naturale. Quest’impennata della richiesta ha causato però un forte aumento dei prezzi e quest’ultimo, insieme a una serie di problemi logistici dovuti proprio agli effetti della pandemia, ha fatto sì che di energia, al momento, non ce ne sia per tutti. Almeno non quanta ne vorremmo: l’India, per esempio, secondo molti analisti, rischia seriamente di andare incontro a un razionamento dell’energia elettrica. Le centrali a carbone indiane infatti al momento hanno materiale sufficiente solo per tre giorni di di autonomia, mentre di norma ne dispongono per almeno due settimane.

Il caso indiano è esemplare per capire come mai la pandemia c’entra col fatto che i paesi di tutto il mondo stanno avendo seri problemi con l’approvvigionamento energetico. L’anno scorso, dopo che il primo ministro australiano ha accusato pubblicamente la Cina di ostacolare un’inchiesta sulle origini del Sars-Cov-2, la Cina ha smesso di rifornirsi di carbone dall’Australia. La Cina, così, ha dovuto comprare più carbone dall’Indonesia e dall’Europa. In questo modo, però, l’India si è trovata scoperta, perché si riforniva dalle stesse fonti appena passate al mercato cinese.

La produzione di elettricità dell’India dipende per il 66% dalle centrali di carbone. Il carbone, però, va importato e ora che i prezzi sono aumentati e la materia prima scarseggia Coal India – la grande azienda di stato che produce circa l‘80% del carbone indiano – non sta riuscendo a tenere il passo delle forniture. Ognuna di queste grandi variazioni di mercato ha ricadute a catena che arrivano fino a noi. Un esempio su tutti: il carbone europeo che la Cina aveva cominciato a comprare in maggiori quantità per boicottare quello australiano, ha fatto sì che anche in Europa ci sia una carenza della materia prima. E di conseguenza, di nuovo, un aumento dei prezzi. In questa corsa ad accaparrarsi i combustibili fossili sia le aziende che gli stati stanno sgomitando per non rimanere a secco e, di conseguenza, dover interrompere o rallentare la ripresa economica. Stando a quanto riportato da Bloomberg lo scorso settembre, per esempio, il governo cinese avrebbe detto alle sue aziende di stato di riuscire a ottenere forniture di gas «a ogni costo».

Nonostante gli sforzi e la pressione dei governi, però, alcune carenze di materie prime stanno avendo impatti piuttosto evidenti. Il primo, quello che conosciamo meglio, è che l’aumento dei prezzi si ripercuote sui consumatori. Questo, nel caso italiano, significa un aumento del costo delle bollette fino al 30% e una proporzionale diminuzione del potere d’acquisto soprattutto da parte dei meno abbienti. Altre conseguenze sono il fallimento di diverse aziende inglesi che si occupavano di fornitura di energia: ne sono già fallite undici, ma molte altre sono in serie difficoltà.

Se il mondo dipende ancora dal carbone per grandi percentuali della sua produzione di energia nel caso europeo il discorso è leggermente diverso. La carenza di materie prime in Unione Europea riguarda principalmente il gas, da cui l’Unione dipende per ben il 20% della sua produzione di energia. La percentuale italiana arriva addirittura al 40%. Il problema è che questo combustibile è quasi interamente importato da paesi che non appartengono all’Unione, come la Norvegia, che fornisce all’Ue il 22,5% del gas e la Russia, che può fornirne fino al 44%. La Russia opera soprattutto con l’azienda statale Gazprom e secondo alcuni analisti sta centellinando le forniture di gas verso il vecchio continente per motivi di convenienza politica, sfruttando la carenza globale per capitalizzare la sua posizione di primo fornitore.

Anche in questo caso è successo che singoli eventi si sono sommati alla carenza globale, unendosi in un effetto valanga e peggiorando ulteriormente la situazione: le esportazioni della Russia verso l’Unione europea erano già calate alla fine del luglio scorso, ma sono precipitate dopo un grande incendio scoppiato a inizio agosto in una struttura di Gazprom in Russia.

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