Sul metano sappiamo cose che suonano contraddittorie: è un gas naturale, e i gas naturali sono i meno inquinanti di tutti i combustibili fossili. È per questo che negli ultimi anni in tutto il mondo si sono fatti enormi investimenti per sostituire col metano la combustione di carbone, molto più inquinante.
Eppure è vero anche che la capacità del metano di surriscaldare il pianeta (cioè il suo Global Warming Potential) è ben 25 volte superiore a quella dell’anidride carbonica. Inoltre, ci preoccupiamo molto più dell’anidride carbonica e meno del metano perché quest’ultimo rimane nell’atmosfera solo per 12 anni, mentre la CO2 per 500.
Sono tutte informazioni vere, ma che comprensibilmente possono confonderci: il metano è un gas nostro “alleato” contro il riscaldamento globale oppure un pericolo ulteriore? Per rispondere è meglio approfondire il discorso.
Uno degli aspetti più difficili da gestire del metano – come d’altronde dei gas naturali in generale – sono le perdite. Il metano ha caratteristiche che rendono le perdite molto difficili da individuare e interrompere: è un gas incolore e inodore, anche se nei processi industriali gli viene aggiunto il tipico odore che conosciamo in modo da renderlo riconoscibile, e quindi meno pericoloso.
Per queste sue caratteristiche quando avvengono delle perdite in zone disabitate, l’unico modo per tracciarle è utilizzare dei droni con telecamere a infrarossi. Che però, com’è ovvio, non tutti i paesi e le aziende possono permettersi.
Purtroppo, visto che è così difficile individuare le perdite di metano, è altrettanto difficile stimare a quanto ammontino. E di conseguenza è anche complicato dire quanto convenga, dal punto di vista ambientale, usare questa forma di produzione di energia. Ma delle stime ci sono. Secondo l’Environmental Defence Fund, per esempio, quasi il 3% di tutto il gas naturale distribuito nel mondo (quindi anche del metano) viene perso per via di impianti datati, valvole malfunzionanti, scarsa manutenzione o errori umani.
Il problema delle perdite di gas è molto noto a chi lavora nel settore energetico, ma è difficile che le notizie di questo tipo attirino la nostra attenzione. Sia perché, come dicevamo, il gas è invisibile e quindi mancano completamente delle immagini che rendano bene l’idea e che possano comparire in tv o sulle prime pagine dei giornali. Sia perché non ci sono dei dati certi, citabili come tali, che ci diano una dimensione del problema.
Le perdite di metano presentano anche un’altra caratteristica che vale la pena citare: sconviene a tutti. I produttori e i distributori ci perdono, gli attivisti e i cittadini hanno una preoccupazione in più per l’ambiente che li circonda. Insomma, la transizione energetica – su cui puntano e investono stati, privati e associazioni – ha di fatto un alleato in meno.
Il metano è anche il protagonista dell’inquinamento considerabile forse come il più “buffo”, cioè quello dovuto a rutti e flatulenze dei grandi bovini, che nel mondo secondo le stime sugli allevamenti intensivi sono oltre un miliardo. Ma a prescindere dal contesto di ilarità, il problema rimane piuttosto serio: ogni grande bovino emette in atmosfera tra le 1,5 e le 2,5 tonnellate di anidride carbonica all’anno.
Su questo tipo di inquinamento, purtroppo, agire sembra difficile: la popolazione mondiale aumenta e gli allevamenti fanno lo stesso di conseguenza. Ma fortunatamente, come accade spesso, è la ricerca scientifica a esserci venuta in soccorso: un’azienda svizzera, la Mootral, è riuscita nel 2020 a sperimentare un metodo per ridurre le emissioni di gas dei grandi bovini usando dei mangimi con grandi quantità d’aglio.
È successo grazie ai dati di uno studio molto precedente, e che aveva in realtà indagato su come alcuni alimenti contenenti allicina – il principio attivo dell’aglio – migliorassero la digestione di noi umani. La fase di sperimentazione dei mangimi Mootral è ancora in corso, ma – come ha raccontato il New York Times in un lungo articolo – promette molto bene.
La possibilità che il gas metano, come gli altri gas naturali, possa o meno essere impiegato più spesso nei processi di trasformazione in energia, però, non dipende soltanto da fattori energetici o ambientali. C’è anche la politica. Il metano, per esempio, è al centro dell’aspro braccio di ferro tra Russia (che ne è un grande produttore ed esportatore) e diversi altri attori internazionali.
La vicenda di Nord Stream è emblematica delle mille difficoltà che incontra il commercio di gas: è un gasdotto di dimensioni storiche che collega la Germania, attraverso il mar Baltico, alla Russia e che potrebbe cambiare gli equilibri energetici – e quindi anche i rapporti geopolitici – tra i paesi occidentali, la Cina e la stessa Russia. Ci sono voluti tempo e sforzi diplomatici, ma oggi Nord Stream ha ricevuto il benestare di Washington e si avvia, dopo anni, al completamento.
18 Settembre 2021