Il «partito di Draghi», quello che lo vorrebbe a Palazzo Chigi il più a lungo possibile e non al Quirinale, sembra prevalere. Lo ha detto il ministro Giancarlo Giorgetti nell’intervista alla Stampa che ha generato non poche polemiche. Lo ha detto il ministro Renato Brunetta. E a pensarlo sono in tanti. Ma il percorso è pieno d’ostacoli – fa notare Annalisa Cuzzocrea su Repubblica.
I partiti, paralizzati dal governo e impegnati finora a scontrarsi alle amministrative, dopo la metà di ottobre apriranno le danze per il Quirinale, con le solite candidature annunciate da bruciare e gli sgambetti. Per cui vanno considerate tutte le possibilità in campo.
Il primo masso da rimuovere dal cammino, secondo Repubblica, sono le elezioni anticipate. Questo Parlamento non si lascerà mandare a casa facilmente. Per due ragioni: la prima è che con il taglio dei parlamentari saranno in molti di meno a rientrare (l’unico partito a non avere questo problema è Fratelli d’Italia); la seconda è che fino a quattro anni, sei mesi e un giorno – quindi fino al 15 settembre del 2022 – gli attuali parlamentari non matureranno la pensione.
C’è poi una terza ragione ancora più importante: il Piano nazionale di ripresa e resilienza avrà bisogno, fino al 2023, di essere portato avanti da chi lo ha impostato. Basta un errore per perdere i fondi vitali per crescita del Paese dopo la pandemia.
Così torna l’ipotesi di un «governo ponte» fino alla fine della legislatura, mentre Draghi andrebbe al Quirinale. Ma nessuno dell’attuale maggioranza dovrebbe sfilarsene.
E chi potrebbe assumere un incarico del genere? L’ipotesi più probabile, spiega Repubblica, sarebbe il ministro dell’Economia Daniele Franco. «Autentica emanazione di Mario Draghi al governo. Una sorta di avatar, che aiuterebbe a dare l’impressione – anche all’estero – che dal Colle l’ex presidente della Bce possa ancora tenere sotto controllo la situazione in una fase molto delicata come quella della discussione del nuovo patto di stabilità». Su Palazzo Chigi resterebbe quindi la forte ombra di Draghi.
In più Franco sarebbe perfetto per non turbare troppo i partiti. Già ragioniere dello Stato e direttore generale di Banca d’Italia, disinteressato ai giochi della politica e di certo anche a un futuro da candidato, schivo e super partes.
Mercoledì, in conferenza stampa accanto al responsabile dell’Economia, il premier ha speso parole di elogio: «Dall’inizio dell’anno sono di fatto già tre le leggi di bilancio. È un lavoro veramente straordinario e voglio ringraziare il ministro Franco».
Gli altri ministri tecnici «draghiani» invece avrebbero meno chance. La Guardasigilli Marta Cartabia, dopo il braccio di ferro sulla riforma della Giustizia, ha contro il mondo Cinque stelle ed è ormai considerata una mossa impossibile. Per la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese sarebbe la Lega a mettersi di traverso. Un esponente più politico, che sia il Pd Lorenzo Guerini o il leghista Giancarlo Giorgetti, sbilancerebbe troppo l’esecutivo già fragile. Resta quindi l’ipotesi Franco.
Sempre che non si consideri realistico il nome di Renato Brunetta: il ministro della Funzione pubblica è il più anziano tra i suoi colleghi. E in caso di vacatio, fino alla formazione di un nuovo governo, la guida spetterebbe a lui. Ma né la Lega né il Pd lo accetterebbero.