Il presidente dell’Anci, Antonio Decaro, che è anche sindaco a Bari, in un’intervista a Repubblica dice di essere arrabbiato. Con il Partito democratico, anzitutto, che è il suo partito d’appartenenza. «Fanno sempre lo stesso errore, non riescono a comprendere quanto siamo decisivi noi sindaci», dice a poche ore dai ballottaggi. Ma ora i primi cittadini sono pronti a farsi valere: «O la musica cambia o faremo nascere un nostro partito dentro il Pd».
Decaro spiega che «dopo il presidente della Repubblica, i sindaci sono le figure istituzionali in cui i cittadini hanno più fiducia. Rappresentano l’ossatura del Paese. Ma il Pd non li valorizza, se ne ricorda solo a ridosso delle comunali, che il centrosinistra di solito vince, per poi soccombere alle elezioni generali. Negli ultimi 20 anni, le politiche le abbiamo sempre perse, abbiamo governato con i voti degli altri». Significa, aggiunge, «che se il 4 ottobre avessimo votato anche per il Parlamento, forse non avremmo avuto il medesimo esito delle amministrative. È qui lo sbaglio: pensare che il successo di dieci giorni fa dipenda da strategie nazionali replicabili tout court».
E invece «quando si vota per il sindaco ciò che viene premiato, nel caso di conferma degli uscenti, è la buona amministrazione, vedi Beppe Sala a Milano; oppure la qualità delle candidature e delle proposte, come quelle di Manfredi a Napoli e Lepore a Bologna. Sono i sindaci che vincono le elezioni. Altrimenti come si giustifica che nel 2019, quando il centrodestra trionfava alle Europee, gli uscenti del Pd a Bari, Pesaro, Firenze e Bergamo si confermavano tutti al primo turno con percentuali altissime? Prendete me: nella stessa urna tutto il centrosinistra alle Europee fece il 21%, io arrivai al 67».
Certo, dice Decaro, «Letta ha il merito di questo risultato, anche per aver saputo tenere insieme il partito. Dopodiché a essere determinanti sono stati programmi e qualità dei candidati sul territorio. A sinistra come a destra. Penso al rieletto sindaco leghista di Novara, Alessandro Canelli, che per l’Anci si occupa di conti pubblici: uno che per capacità e competenza potrebbe fare il ministro. I comuni sono una miniera di classe dirigente, che troppo spesso i partiti trascurano».
E il segretario del Pd cosa dovrebbe fare? «Oggi ha l’opportunità di riconoscere e mettere in luce il lavoro dei sindaci», risponde. «Non ci basta più essere solo ascoltati, vogliamo entrare nei luoghi dove si prendono le decisioni, essere utilizzati per fare proposte al Paese. Invece nel Pd continuano a comandare le correnti che da quando c’è Letta sono persino aumentate».
E se non lo farà? «Rischiamo che nasca il partito dei sindaci dentro il Partito democratico», risponde senza mezzi termini. «E se i sindaci si coalizzano, per la forza e il gradimento che hanno, lo governano loro il Pd . Andate in qualsiasi media città o piccolo Comune e chiedete il nome del parlamentare del territorio. Non lo conosce nessuno. Mentre quello del sindaco sì, sanno pure dove abita e se non lo trovano in municipio gli vanno addirittura a citofonare a casa».
Questo è l’aut aut: «I sindaci collaboreranno con Letta, ma se ancora una volta si finisse a parlare di noi solo quando si vincono le amministrative senza che il nostro lavoro venga valorizzato, quando sarà il momento ci metteremo insieme e ci faremo valere». E scommette: «Al congresso, se continuerà questo andazzo, il partito dei sindaci ci sarà. Poi chi si candiderà segretario non è detto che sarà un sindaco».
«Può essere chiunque. Noi chiediamo di essere coinvolti e dire la nostra su questioni anche nazionali», conclude. «Sappiamo vincere le elezioni e governare bene i territori. Per il Pd è un’opportunità». Ma sulle alleanze è «d’accordo con Letta, l’obiettivo è tenere tutti dentro, da Renzi e Calenda fino a Leu e M5S».