Tocofobia per procuraL’immane panzana della depressione post partum maschile

Uno studio dell’Università di Canberra afferma la possibilità di ansia, sintomi depressivi e mancanza di sonno anche nei padri nel periodo successivo alla nascita del primogenito. Scommettiamo che questo team di luminari era composto da soli maschi?

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Era una settimana tranquilla, finalmente non avevo più nulla da dire, nella vita capita anche che un ineffabile genio come me ogni tanto si chieda: ho forse perso il mio tocco magico? La mia realtà non è più rilevante? 

Devo iscrivere mio figlio a un corso di giocoleria in modo da svoltare altri dieci articoli? O forse devo fare un altro figlio in modo da scrivere il bestseller che tutti voi state aspettando? Era una settimana tranquilla, poi apro Instagram e succede l’irreparabile. 

No, non mi costringerò ad avere un’opinione su tutto, nemmeno quando vengono toccate in maniera truffaldina le peggiori corde materne (chiedo scusa per la poca inclusività), ma eccola là, la mano sul grilletto: un post che recita «anche i padri possono soffrire di depressione post partum».

Cos’è, tocofobia per procura? Quale maledetta università ha speso dei soldi per finanziare una ricerca basata sull’ appropriazione culturale della maternità? Scommettiamo che questo team di luminari era composto da soli maschi? Sputiamo sulle migliori teorie dell’attaccamento? Pare di sì.

Diciamo che ci manca solo che la vita di un uomo non venga rasa al suolo dall’aver avuto un figlio, cosa che mi sembra proprio il minimo, cosa che mi sembra un’asticella veramente troppo bassa. Come fa chi non ha partorito a soffrire di depressione post partum? Non l’ho capito.

Uno studio dell’Università di Canberra parla di ansia, sintomi depressivi, mancanza di sonno nei padri nel periodo successivo alla nascita del primogenito, e fin qui bastava andare a bussare a caso in un condominio qualunque. Università di Canberra, sentiti libera di farmi un bonifico. Il grande classico, pietra angolare di malafede, “tu non sei madre e non puoi capire” vale anche per i padri? 

Non lo so, io non faccio appropriazione culturale, ma rimane il fatto che sì, se non sei madre certe cose non le capisci, non è che io adesso mi metto a parlare di fisica quantistica solo perché ho letto Labatut (in realtà lo faccio, lo facciamo tutti). Non è un giudizio di valore, non è nemmeno un giudizio, è una frase buttata lì, e pure onesta se posso permettermi. 

Non capisco la necessità di raccontare cose che non ci appartengono, o che semplicemente non ci interessano. Se tutto diventa importante, niente lo è. Perché ci piace tanto raccontare il nostro parto? Chi non si illanguidisce tra un «sapessi io» e un «tu non sai cosa mi è successo»? Ve lo dico io: perché la cosa più vicina a un programma di Franca Leosini che possiamo provare nella nostra vita, si spera. 

Tra la cronaca nera e Realtime si incastra l’amore della nostra vita. Credo che tutte le ostetriche del mondo per contratto debbano dire che la natura è perfetta, che il dolore del parto si dimentica, altrimenti nessuno farebbe mai un secondo figlio. Ma certamente, infatti sono qui con il figlio unico, ma solo per scansare gli equivoci e non dover smentire la letteratura ostetrica. No, chi non ha partorito non può capire.

Posso dirvi cosa è cambiato rispetto alla me nullipara: una costante, tragica, avvilente paura della morte. Morte mia, morte sua, morte dell’animale domestico, morte della morte.

Passerà? O bisogna fare un altro figlio in modo da annullare la maledizione? Speriamo che una qualche università del Massachusetts faccia presto uno studio in merito.   

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