Nel trionfo del centrosinistra alle amministrative c’è un risultato che è allo stesso tempo sorprendente e simbolico. A Torino, Stefano Lo Russo, professore ordinario di Geologia al Politecnico di Torino e capogruppo del Partito democratico in Consiglio comunale, è stato il candidato più votato, con il 43,86% delle preferenze (140.200 voti).
È una sorpresa perché il rivale di centrodestra Paolo Damilano – candidato civico sostenuto con forza soprattutto dalla Lega – era considerato in netto vantaggio dai sondaggi, anche grazie a una campagna elettorale iniziata quasi un anno fa.
Il consenso raccolto da Lo Russo è anche un risultato indicativo rispetto alla possibilità, per il Partito democratico, di valorizzare idee, programmi, persone senza fare accordi con il Movimento 5 stelle o altre forze populiste con le quali è difficile condividere valori e idee.
Una vittoria alle amministrative non sempre ha un significato per la politica nazionale: sono giorni che commentatori e analisti politici ci ricordano che «le elezioni dei sindaci fanno storia a sé». Ma il percorso di Stefano Lo Russo ci dice che un centrosinistra forte, unito e vincente è possibile, come spiega lui stesso a Linkiesta: «La coalizione è espressione di una politica ampia e plurale. Sapendo che avremmo dovuto recuperare lo svantaggio iniziale presidiando il territorio, presentando un programma credibile e dimostrandoci una squadra unita. È per quello che gli elettori ci hanno premiato».
Tra poco più di una settimana, si torna al voto: il ballottaggio tra Lo Russo e Damilano sarà il 17 e il 18 ottobre. E il candidato del Partito democratico non ne vuole sapere di apparentamenti o accordi a tavolino con il Movimento 5 stelle, che ha preso solo l’8% dei voti. Preferisce portare avanti il suo progetto politico, quello capace – da solo – di unire l’elettorato.
«Il ballottaggio – dice Lo Russo – è una seconda partita, completamente nuova, non è il secondo tempo di una partita. Se al primo turno si vota il candidato che si considera più vicino alle proprie idee, al secondo, con due sole opzioni, si sceglie il meno lontano. Noi dovremo essere bravi a convincere chi ha scelto gli altri undici candidati che non sono arrivati al ballottaggio, ma in realtà anche quelli che al primo turno hanno votato Damilano e magari possono cambiare idea. E ovviamente portare al voto gli astenuti».
Convincere a votare chi non ha votato al primo turno potrebbe essere la chiave di volta di queste elezioni. Per la prima volta nella storia della città di Torino meno del 50% degli aventi diritto è andato a votare. Il dato ufficiale dell’affluenza finale si è fermato al 48,06% – molto distante dal 57,18% del 2016 e dal 73,22% delle elezioni politiche del 2018.
«Deve essere un campanello d’allarme per le istituzioni e per la politica. Adesso sta a noi dimostrare che si può far tornare i cittadini a votare attraverso una politica di qualità, e un’amministrazione saggia della città», dice Lo Russo.
La città di Torino ha un grande potenziale che negli ultimi cinque anni non è stato sfruttato. «Possiamo riportare Torino ad avere un ruolo grande in Italia e in Europa – spiega – puntando sulla sua vocazione culturale, sulle politiche ambientali e quelle per i giovani: l’ambizione è quella di far diventare Torino una grande città universitaria europea e una città su cui si possa costruire il proprio futuro se ci si nasce, una città dove costruire qualcosa quando si arriva da fuori. Negli ultimi cinque anni non abbiamo condiviso quasi nulla di quanto fatto dalla precedente amministrazione, però è più utile dire ai torinesi cosa vogliamo fare da qui in avanti».
Prendere le distanze dagli ultimi cinque anni di amministrazione Appendino e tracciare un percorso da seguire fin dal giorno zero in caso di elezione è sempre stata la cifra stilistica della campagna elettorale di Lo Russo. Non tanto e non solo per dimostrare che il Partito democratico può andare oltre il Movimento 5 stelle, ma anche per dare fin dall’inizio un’identità a una corsa iniziata in ritardo e con risorse scarse rispetto alla concorrenza.
Paolo Damilano il volto del centrodestra – che la Lega ha quasi imposto agli altri partiti – è partito a dicembre e ha avuto campo libero per mesi in assenza di un avversario davvero credibile. Ancora all’inizio del 2021, infatti, il centrosinistra era diviso, in cerca di un candidato che sembrava non esserci.
Il nome sarebbe arrivato solo a giugno, grazie alle primarie. «Siamo partiti molti mesi dopo – dice Lo Russo – e quel che ci ha permesso di bruciare le tappe è stata la capacità di questo team nel catalizzare l’attenzione e l’interesse di tante persone, delle diverse anime della città. Nella nostra coalizione ci sono tante liste civiche, tante liste diverse, riunite in un centrosinistra capace di rappresentare tutte queste sfumature».