Come previsto da molti analisti, il premier uscente Andrej Babiš e il suo partito ANO hanno perso le elezioni in Cechia, pur con margini meno netti di quanto si potesse immaginare. L’ex premier ha pagato la pessima gestione sanitaria della seconda ondata pandemica, nonché i numerosi scandali finanziari nei quali è coinvolto, dalle sue aziende Agrofert e Stork’s Nest, sino all’acquisto in incognito di una lussuosa residenza in Francia nel 2009, svelato pochi giorni fa dai Pandora Papers.
Nei numeri il risultato di ANO (27,1%) non è molto distante dal 29.6% dei consensi ottenuto del 2017, all’epoca maggioranza relativa. Quello che le percentuali non dicono, tuttavia, è che su 108 dei 200 seggi del nuovo parlamento siederanno deputati dei due principali movimenti d’opposizione SPOLU e Pirati + Sindaci & Indipendenti (STAN.)
La coalizione di centrodestra SPOLU è il vero e inaspettato vincitore delle elezioni perché fino a poche settimane fa, i sondaggi davano come favorita gli europeisti e liberali di Stan a ereditare il primato di Babis. E invece la coalizione di centrosinistra ha ottenuto soltanto il 15,6% dei voti. Nel nuovo parlamento entra anche l’estrema destra anti-UE di Libertà e democrazia diretta (SPD) con un 9,6% lievemente inferiore alle aspettative della vigilia. Non sono riusciti a raggiungere lo sbarramento del 5%, invece, tutti gli altri contendenti. In primis, crollano due partiti che hanno sostenuto il governo Babiš II appena concluso: i socialdemocratici del ČSSD che fra 2013 e 2017 furono il primo partito del Paese, e il partito comunista di Boemia e Moravia (KSČM). Ed è proprio la loro debacle, più ancora del risultato di ANO, a mettere l’ex premier in una posizione scomoda.
L’ex premier potrebbe rimanere al governo? Sì, in teoria avrebbe i numeri un esecutivo in coalizione col centrodestra, ma Babiš si troverebbe in netta minoranza in Parlamento. Senza contare che Tomio Okamura, leader di SPD, acconsentirebbe a sostenere il partito del premier uscente solo se venisse indetto un referendum sull’uscita della Cechia dall’Unione Europea e dalla NATO. Condizioni che certo non gioverebbero ad ANO, il cui elettorato non è del tutto euroscettico, nonostante Babiš privilegi i rapporti con Budapest e Varsavia rispetto a quelli con Bruxelles, incrinati dalle sue grane con la Commissione europea legate al caso Agrofert.
Sia SPOLU che Pirati + STAN vogliono allontanarsi dalla politica conflittuale di Varsavia e Budapest contro l’Unione europea. Formare un governo non sarà semplice. Ci sono molte divergenze da superare in un governo di coalizione che prevederebbe cinque partiti, (SPOLU, dopotutto, in ceco significa assieme) ma l’occasione di defenestrare Babiš è troppo favorevole per lasciarsela scappare.
Il nuovo premier potrebbe essere il 57enne Petr Fiala, già professore e poi rettore dell’Università Masaryk di Brno, è stato brevemente ministro dell’Istruzione nel governo Nečas. Dal 2014 guida il Partito democratico civico (ODS), una delle tre formazioni presenti in SPOLU. In campagna elettorale ha proposto di aumentare le pensioni e misure efficaci per contrastare il deficit nazionale e l’inflazione. Pur essendo europeista e contrario all’influenza di Mosca e Pechino, da buon conservatore Fiala si è esposto assai meno su temi cari alla coalizione Pirati + STAN, in particolare su ambiente ed energia, diritti delle persone LGBT+ e su un’eventuale adozione dell’Euro.
Il semaforo giallo di Zeman
Perché la nomina di Fiala a premier in pectore si concretizzi manca tuttavia l’investitura del presidente della Repubblica, Miloš Zeman, al quale tocca decidere chi formerà il nuovo governo. Nelle settimane prima del voto, il 77enne presidente aveva ribadito in varie occasioni che avrebbe conferito tale incarico al leader del partito capace di aggiudicarsi più voti, bollando le coalizioni elettorali come «un imbroglio». Di fatto, un’investitura a Babiš, che – qualora venisse confermata – rischia tuttavia di trasformarsi in un’arma a doppio taglio per l’ex premier, per il quale sarebbe oggi impossibile costruirsi una maggioranza parlamentare.
Zeman rischia di non essere un arbitro imparziale. Negli ultimi tempi il presidente ceco si è attirato parecchie critiche interne per il suo ostinato appoggio agli interessi economici russi e cinesi nel Paese, nonché per alcune uscite infelici, come quando ha definito «disgustose» le persone transgender. Di fatto, la fiducia dei cechi nell’anziano presidente della Repubblica è ai minimi storici e neppure la salute lo assiste nel suo compito istituzionale. Zeman avrebbe dovuto chiarire la situazione post-voto in un discorso televisivo domenica 10 ottobre, ma poche ore prima di andare in onda è stato ricoverato d’urgenza in terapia intensiva a Praga per il riacutizzarsi di una forma di diabete che lo affligge.
Tre possibili scenari futuri
A risultati acquisiti, e in attesa che Zeman si ristabilisca – anche se nessuno sa quanto siano gravi le sue condizioni – restano aperti tre possibili scenari. Il primo prevede che il presidente confermi la propria intenzione di affidare l’incarico di formare un nuovo governo a Babiš, ignorando la composizione del nuovo parlamento determinata dalle urne. Tale eventualità consentirebbe al multimilionario ex premier di provare a negoziare con le opposizioni e posticipare la propria uscita di scena, ma innescherebbe uno stallo che, avvertono gli analisti, avrebbe conseguenze nefaste sull’economia del Paese.
Il secondo scenario vedrebbe Zeman smentire se stesso e cedere alle legittime pressioni delle opposizioni vincitrici del voto parlamentare, convocando Petr Fiala al castello di Praga, anziché Andrej Babiš. A quel punto inizierebbe la complessa costruzione di un nuovo esecutivo fra SPOLU e Pirati + STAN, con delicati equilibri di potere da trovare e preservare fra i cinque partiti all’interno delle due coalizioni. E sarebbe anche da capire se Babiš e ANO riuscirebbero a reinventarsi all’opposizione o se finirebbero per sfaldarsi, magari separando le proprie strade.
La terza possibilità è anche quella che oggi appare più remota: un ritorno alle urne per scongiurare un’impasse governativa simile a quella che fra novembre 2017 e gennaio 2018 face cadere il primo governo Babiš, incapace di ottenere la fiducia in parlamento. La fragile Cechia a uscita dalla pandemia non può permettersi che una situazione del genere si ripresenti, ma l’ipotesi di un nuovo voto sarebbe accolta anche negativamente dalle opposizioni, divenute maggioranza parlamentare. Sinora l’incertezza sulle condizioni di salute del presidente Zeman non consente di sciogliere il nodo. Anche per questo motivo, il rischio è che l’impasse sul nuovo governo ceco si protragga.