Protezione sociale e della crescita del Pil. Sono questi i due pilastri della prima legge di bilancio del governo Draghi – scrive Repubblica – che potrebbe arrivare fino a 25 miliardi. Oggi dovrebbe essere spedito alla Commissione europea il Documento programmatico di bilancio, con la griglia delle misure che finiranno nella manovra economica. E poi in settimana dovrebbe essere varata la finanziaria. Ma tutto fa pensare che ci sarà uno slittamento, d’altra parte la scadenza del 20 ottobre non è perentoria. Il presidente del Consiglio Mario Draghi si concentrerà sul Consiglio europeo di questa settimana. Difficile, spiegano da Palazzo Chigi, che venerdì, al suo ritorno, ci sarà il cdm decisivo per la finanziaria.
La politica economica espansiva non verrà dunque abbandonata. E lo sarà finché il Pil e l’occupazione – è questa la strategia di Draghi e del ministro dell’Economia, Daniele Franco – non saranno tornati ai livelli precedenti la pandemia e avranno recuperato anche la mancata crescita rispetto al 2019.
Passato il voto nelle grandi città, Draghi intende mettere un punto ai provvedimenti rimasti in sospeso, sapendo che si dovrà trovare un equilibrio innanzitutto nel reticolo di veti opposti al premier dai partiti e le risorse a disposizione. Il centrodestra tutto è sul piede di guerra per abbattere il Reddito di cittadinanza. La Lega, però, vuole anche una soluzione sulle pensioni che vada bene a Matteo Salvini, visto che dovrebbe finire Quota 100. Il M5S, in trincea per difendere il Rdc, chiederà di tornare al cashback. Il Pd invece si concentra sul cuneo fiscale e sul complicato finanziamento degli ammortizzatori sociali.
Draghi negozierà con tutti i partiti che lo sostengono. Ciascuno ha le sue “bandierine” e con nessuno intende andare allo scontro. Tuttavia gli interventi non dovranno essere in contrasto con l’obiettivo di dare una spinta alla crescita.
Tasse
La stessa riforma del sistema fiscale (per ora una legge delega piuttosto generica) è finalizzata alla crescita del Pil. E il primo pacchetto di misure, inserito nella legge di bilancio, dovrebbe riguardare la riduzione del cuneo fiscale e contributivo che appesantisce il costo del lavoro delle aziende e alleggerisce il netto delle buste paga dei lavoratori. Al taglio del cuneo potrebbero essere riservati fino a 8-9 miliardi per liberare risorse per gli investimenti aziendali e favorire la ripresa dei consumi interni. Sul primo passo sulla riforma fiscale è possibile una convergenza, visto che i partiti hanno incassato l’impegno a non alzare le tasse. Ma sulle altre partite lo scenario è diverso.
Quota 100
La bandiera della Lega di Salvini si chiama Quota 100. Il meccanismo, introdotto dal governo giallo-verde del primo governo Conte, consente di andare in pensione una volta raggiunta la quota sommando età anagrafica e anni di contribuzione a partire da 62 anni di età e 38 di contributi. Alla fine dell’anno scade. La Lega ne chiede la conferma, i sindacati, con il Pd, propongono soluzioni flessibili a cominciare da 62 anni. Questo per evitare lo scalone che altrimenti si verificherebbe dal primo gennaio del 2022, dal momento che l’età pensionabile è quella fissata con la legge Fornero a 67 anni di età. Draghi sa che il tema va affrontato, ma non confermando Quota 100, anche perché la misura ha fallito nel presunto obiettivo di favorire l’occupazione giovanile, senza dimenticare che è stata usata poco.
Si riparta da Quota 41, dicono nella Lega, ma dal Tesoro sono d’accordo. Costerebbe 4,3 miliardi nel 2022, 6 nel 2023, e oltre 9 miliardi come tendenza. Uno sproposito. Meglio, dicono, concentrarsi sull’ampliamento delle pensioni anticipate per i lavori usuranti: costerebbe solo un miliardo per i primi tre anni.
La ex ministra Elsa Fornero sulla Stampa spiega che sia Quota 102 sia Quota 41 «riprodurrebbero quella ingiustizia nei confronti delle nuove generazioni rispetto alle quali noi stiamo sempre a piangere salvo poi non essere mai conseguenti. Non solo non sarebbe saggio, ma sarebbe ripetere politiche del passato che non mi pare abbiamo fatto bene al Paese».
Reddito di cittadinanza
Questione spinosa anche quella del reddito di cittadinanza, bandiera dei Cinque Stelle. Soprattutto come strumento di politiche attive per il lavoro. Questione che Draghi vuole rivedere, e non è un caso che abbia rimosso dall’Anpal il presidente Mimmo Parisi voluto dai Cinquestelle. Ma senza scardinare il reddito per la lotta alla povertà. Il punto è che va corretto per migliorarne l’efficacia: dal sostegno alle famiglie numerose all’accesso per i cittadini provenienti da Paesi esteri.
Le sfide saranno due: ricalcolare il finanziamento necessario per il 2022 e ridefinire i destinatari. Se, come sembra, si arriverà a rimodulare in maniera decrescente l’assegno per i circa 1,2 milioni (su oltre 3,5 milioni) beneficiari «occupabili», le coperture cambieranno.
Ammortizzatori sociali
I soldi del reddito potrebbero in parte finire nella riforma degli ammortizzatori sociali, da agganciare a quella delle politiche attive del lavoro, come vorrebbe il ministro Andrea Orlando, alla ricerca di risorse dalla scorsa estate per rendere quanto più universali le protezioni. Orlando ha chiesto 8 miliardi. Franco è fermo su 3-4.