Lo sgretolamento dell’indipendenza della giustizia in Polonia si misura soprattutto nei provvedimenti disciplinari che colpiscono i giudici.
Quando criticano le scelte del ministro della giustizia o applicano le sentenze delle corti europee ritenute incostituzionali secondo la linea di governo, sentono già il richiamo della Camera disciplinare, l’organo creato nel 2018 per giudicare sulla condotta dei giudici e definito contrario al diritto europeo dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per le scarse garanzie di imparzialità.
La Camera disciplinare sarà chiamata a valutare anche la condotta di Dariusz Mazur, giudice della Corte regionale di Cracovia, uno dei 45 tribunali di prima istanza in Polonia. Mazur ha quattro procedimenti disciplinari a suo carico.
La sua militanza come portavoce della seconda più grande associazione dei giudici in Polonia, “Themis”, lo ha portato a denunciare apertamente l’attacco all’indipendenza della categoria nel paese messo in atto da Diritto e Giustizia (PiS), l’unico partito della storia post-comunista della Polonia che con le elezioni del 2015 ha ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento.
«Mi trovo in questa situazione – racconta il giudice – perché grazie ai pochi media indipendenti che sono rimasti in Polonia ho denunciato gli evidenti casi di corruzione nella nomina dei giudici che hanno coinvolto l’attuale ministro della Giustizia».
«Un’altra volta sono stato colpevole di aver manifestato con dei poster – prosegue Mazur – perché un tribunale aveva negato alla nostra associazione il diritto a riunirci. E un’altra volta ancora perché mi sono permesso di chiedere informazioni sui componenti del Consiglio Nazionale della Magistratura che decide sulla nomina dei giudici polacchi e che è stato interamente eletto dal Parlamento, contrariamente a quanto dice la nostra Costituzione».
Modificando il sistema delle nomine dei giudici costituzionali prima e stravolgendo la procedura di composizione della Corte Suprema e del Consiglio Nazionale della Magistratura poi, forte della maggioranza in Parlamento, il governo del PiS ha smantellato il sistema della giustizia, compromettendone la totale indipendenza dalla politica.
Grazie a una legge del 2018 l’attuale ministro della giustizia Zbigniew Ziobro, oltre a essere deputato e leader di uno dei partiti che formano la coalizione di governo, ricopre anche il ruolo di procuratore generale.
I procedimenti disciplinari sono la prima arma di intimidazione contro i giudici indipendenti e possono rappresentare l’anticamera per provvedimenti molto più seri, come quelli di natura penale o amministrativa. Queste indagini preliminari riguardano attualmente più di 100 giudici e alcuni tra loro, come nel caso di Mazur, hanno a carico più di un procedimento.
«A causa di questi provvedimenti attivati solo per ragioni politiche, al mio collega Maciej Czajka è stato imposto il trasferimento dall’ufficio giudiziario penale a quello civile e questo è stato un duro e inaccettabile colpo per un giudice con più di venti anni di carriera nel campo penale come lui».
Ad alcuni magistrati, invece, è stato disposto il trasferimento di sede immediato anche a centinaia di chilometri dal tribunale in cui prestavano servizio in origine.
Ma la tecnica di intimidazione più meschina secondo il giudice di Cracovia è quella propagandistica. Nel mezzo della riforma della giustizia che il Governo e il Parlamento stanno realizzando passo dopo passo da sei anni, nel 2017 i giudici sono stati travolti da una campagna di denigrazione trasmessa dai media di stato.
«Non era raro durante un pranzo o una cena con la famiglia assistere in televisione a campagne di propaganda che spesso e volentieri gettavano fango sulla categoria con notizie false o che distorcevano la realtà», aggiunge Mazur.
Il giudice cita anche il caso di «uno spot in cui è stato messo alla berlina un ex giudice che ha rubato dei vestiti da un negozio, senza specificare che era in pensione e senza la minima sensibilità per la malattia mentale che gli era stata diagnosticata».
Sui giudici si sono scagliati anche i produttori di “Kasta”, una serie televisiva di stampo populistico, anch’essa andata in onda sull’emittente pubblica. «Neanche George Orwell in uno dei suoi romanzi distopici sarebbe stato capace di immaginare una società in cui un ramo dello Stato istiga l’odio nell’opinione pubblica verso un altro apparato dello Stato», commenta Mazur.
Il clima intimidatorio ha portato i giudici indipendenti a battersi nelle aule per il rispetto della legge e a radunarsi in una sorta di «resistenza giudiziaria», come l’ha definita lo stesso Mazur. A sostenere il loro lavoro ci sono soprattutto le associazioni e le altre organizzazioni che si occupano di assistenza legale e psicologica nei procedimenti disciplinari.
Una di queste è la Free Courts Foundation (Fondazione “Tribunali liberi”) nata nel 2017 dall’idea di quattro avvocati, dopo l’adozione di una legge che ha disposto la sostituzione totale dei membri della Corte Suprema.
«Spieghiamo alla gente che questo sistema non può reggere, perché prima o poi tutti potranno trovarsi in tribunale e avere qualcun altro che è più forte di loro, se la legge non li difende», spiega Paulina Kieszkowska-Knapik, fondatrice dell’organizzazione e avvocata impegnata nelle cause relative al diritto alla salute specializzata nell’assistenza ai clienti affetti da malattie rare a per l’ottenimento di finanziamenti pubblici per le loro cure.
«Nel mio lavoro mi capita di ricevere elettori del PiS che rischiano di perdere un processo a causa dell’ingerenza della politica nella giustizia – continua l’avvocata – la gente vuole un giudice indipendente, è logico, e in quanto avvocato mi interessa che ci siano delle regole certe e di poter vincere la causa che presento in aula senza dovermi preoccupare della provenienza o dell’orientamento politico del giudice che ho di fronte».
La sentenza della Corte costituzionale polacca dello scorso 7 ottobre che ha dichiarato il primato del diritto nazionale sul diritto europeo ha infiammato intanto ulteriormente la disputa tra Bruxelles e Varsavia sullo stato di diritto.
Tra le possibili ritorsioni prese in considerazione per rimettere il governo di Mateusz Morawiecki nella carreggiata dei principi cardini dell’Unione, si paventa la possibilità di congelare i 57 miliardi (di cui 23 sovvenzioni e 34 in prestiti) destinati alla Polonia dal piano di ripresa post-pandemico Next Generation EU.
Kieszkowska ha fiducia nelle azioni che l’Unione Europea potrebbe mettere in campo nei prossimi mesi, ma anche timore nel caso in cui dovesse tardare l’erogazione dei 57 miliardi del piano di ripresa post-pandemica assegnati alla Polonia.
«Vorrei vedere questi soldi arrivare in Polonia perché costringerebbero il mio governo a impiegare risorse nel migliorare le condizioni dei lavoratori anziché costruire muri. Ma è anche una questione di dovere nei confronti delle prossime generazioni: non devono assistere al finanziamento di uno stato semi-autoritario. L’Unione Europea fa bene a difendersi».