Enrico Letta dovrebbe prestare attenzione a quanto accaduto a Trieste. E lo dovrebbe fare anche Mario Draghi. I fatti sono sotto gli occhi di tutti, ma sono stati sottovalutati da tutti i media.
Lunedì scorso, la mattina, tutti i 950 portuali di Trieste hanno dato vita a un corteo sindacale contro il green pass. Una compattezza impressionante in una iniziativa non organizzata dalle tre grandi organizzazioni sindacali, ma dai sindacati di base Usi, Usb e Cobas. Fatto già indicativo.
Ma quello che è accaduto il pomeriggio fa ancora più impressione e notizia: sotto lo striscione “Non siamo fascisti, siamo lavoratori”, cantando l’inno di Mameli, ben 15mila triestini (in una città di 200mila abitanti), capeggiati dai portuali, hanno sfilato in una manifestazione contro il green pass. Un esempio da manuale di egemonia. Ma non basta.
Sia i portuali di Trieste (dove il 40% dei lavoratori non è vaccinato) che quelli di Genova (dove il 30% non è vaccinato) hanno promosso per il 15 ottobre uno sciopero ad oltranza contro il lasciapassare sanitario, al quale assicurano parteciperanno tutti i porti italiani.
Unito alle agitazioni e ai problemi oggettivi con il green pass degli autisti dei Tir (30% non è vaccinato o si è fatto vaccini come il Sinovac o lo Sputnik non riconosciuti dall’Ema), dal 15 ottobre in poi il Paese rischia uno scenario da incubo: blocco della logistica e quindi delle forniture industriali e alimentari, con conseguenze tipo post Brexit nei supermercati e nella produzione industriale.
A fronte di questo scenario, Luciana Lamorgese (non il migliore ministro dell’Interno della storia repubblicana) ha scelto di derogare dalla linea di fermezza di Draghi e del governo e ha proposto con un decreto ministeriale tamponi gratis, pagati dalle imprese, a tutti i portuali (con reazione sconcertata e contraria del ministro Andrea Orlando). Proposta rimandata al mittente dai portuali che hanno reiterato la proclamazione dello sciopero ad oltranza sino a quando il green pass non sarà abolito, con conseguente blocco dei servizi essenziali al Paese.
Il tutto, questo è il punto, a opera di una direzione politico-sindacale dei lavoratori in cui il Partito democratico e la sinistra non solo non contano nulla, ma vengono considerati una controparte. Di questo grande problema Enrico Letta non sembra farsene carico e lascia soli Maurizio Landini (che sa bene che il 18,5% degli iscritti alla Cgil ha votato Lega) e i sindacati che sul green pass hanno avuto infatti una posizione simile a quella di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Una strana, ma indicativa, sintonia.
È chiaro ovviamente che il problema serio è che dietro e dentro tanta rabbia e tanta mobilitazione non c’è solo il green pass, ma che questi funge da catalizzatore di tensioni contrattuali (per i portuali di Genova) e di tutti i gravi problemi sociali ed economici accumulati in due anni di pandemia.
È altrettanto chiaro che siamo di fronte alla dura mobilitazione di una minoranza di lavoratori, ma è una parte che non può e non deve essere né ignorata né repressa. Una componente consistente di lavoratori che ha perso fiducia nella sinistra tradizionale (tra gli iscritti ai sindacati alle ultime europee i votanti per il partiti del centrodestra equivalevano ai votanti per i partiti di centrosinistra) e che cerca e trova nuove leadership sindacali.
Dunque, il 15 ottobre Mario Draghi rischia di trovarsi di fronte a una situazione di ribellione sindacale, sia pure minoritaria, che può, se non paralizzare il Paese, comunque fare grandi danni.
Può darsi che non sarà così, che le minacce di sciopero dei nuovi leader di base dei portuali siano velleitarie e che i porti restino in funzione. Allora Draghi avrà vinto la partita.
Ma se invece il blocco dei porti e dei trasporti si concretizzerà, il tutto affiancato da consistenti manifestazioni indette in tutto il paese per sabato 16 (e i 10mila manifestanti di Roma con i 15mila manifestanti di Trieste lo fanno temere), il governo, stante la nulla presa dei partiti di sinistra su questi lavoratori, non avrà leve per porvi rimedio, se non una poco gloriosa ritirata.