L’affaire Quirinale scuote la politica italiana. Ed è naturale che ciò avvenga a soli quattro mesi dall’elezione del Capo dello Stato, divenuto negli anni forse il più esecutivo dei poteri costituzionali, ben oltre comunque i limiti immaginati dai Costituenti per il ruolo di Garante della Costituzione. La debolezza dei partiti e della politica ha finito con l’attribuire all’inquilino del Colle una strategicità assoluta; da alcuni interpretata in modo “strabordante” e da altri, come il Presidente Mattarella, in modo impeccabile. Ma di certo il ruolo esercitato dai Presidenti, negli ultimi 35 anni e con intensità crescente, tutto è stato fuorché quello del notaio.
In questi giorni sembra rafforzarsi il tentativo di Silvio Berlusconi di ascendere al Colle più alto. Sarebbe per lui la più clamorosa delle riabilitazioni, in barba alla sua veneranda età, al suo stato di salute e alla sua storia processuale. Si potrebbe anzi dire, a ben vedere, che quella che era di recente apparsa, e forse è stata, una richiesta enorme da parte del Pm di uno dei tanti processi che ha visto coinvolto Berlusconi, e cioè quella di sottoporre l’ex presidente del Consiglio a perizia psichiatrica, sia stata più una mossa sulla scacchiera del Quirinale che non su quella del processo che, per altro, ha visto assolto il Cavaliere.
Ma nonostante le mille risorse di cui il personaggio è dotato, la sua sarebbe, oggettivamente, solo una velleità. Sarebbe, appunto, se dovessimo solo temere Berlusconi in sé. Ma, parafrasando Gaber, in questo caso se non quello in noi, è da temere, e molto, il Berlusconi in Renzi.
Il centrodestra ha infatti sulla carta 451 voti per il Presidente della Repubblica. 54 in meno dei 505 necessari. Di questi 54 mancanti, Renzi potrebbe apportarne ben 43. A quel punto poi trovare la manciata di voti decisivi in questo parlamento potrebbe non essere impossibile. Anche perché Berlusconi garantirebbe la continuità delle Camere, circostanza non certo trascurabile per molti parlamentari che sanno bene quanto sia improbabile la loro prossima rielezione.
Per Renzi sarebbe l’ennesimo salto mortale senza rete di protezione. Ma tra i mille difetti del Matteo fiorentino, certo non può annoverarsi l’ignavia. Così Renzi, in un solo colpo, annienterebbe i nemici, ormai “giuratissimi” del PD, manterrebbe Draghi a Palazzo Chigi (e proprio a Renzi va riconosciuto che fu il primo a trasformare l’ipotesi Draghi da boutade a ipotesi concreta, e poi a verità) piazzerebbe al Quirinale il nemico arci-giurato dei suoi nemici magistrati, si intesterebbe la pacificazione nazionale e, soprattutto, lancerebbe l’OPA sul centrodestra che, a quel punto, avrebbe in lui il leader naturale. Con questo schema, nel 2023 si andrebbe a giocare la la sfida per la Premiership contro il sommo nemico Enrico Letta.
Certo la partita è difficilissima, anche per il contesto internazionale, mai disinteressato ai fatti italiani, specie in un momento delicato come questo per gli equilibri europei e atlantici. Ma in fin dei conti, persino solo un biennio di Berlusconi al Quirinale, per poi cedere il passo a Draghi, potrebbe essere sufficiente per inverare lo scenario precedente. Fantapolitica si dirà. Come quella, si diceva, del più antieuropeista dei parlamenti italiani della storia repubblicana, dominato da Lega e Cinquestelle, che mai e poi mai avrebbe sostenuto il più europeista tra gli europeisti: Mario Draghi. Sappiamo come è andata a finire.
Esistono comunque una dozzina di candidati cui qualche chance va di diritto riconosciuta.
Giuliano Amato, il più quirinalizio di tutti, ma 83enne; Romano Prodi, in verità autoesclusosi e comunque non più giovanissimo e con un tratto, per sua stessa ammissione, non sufficientemente bipartisan; Pierferdinando Casini e Walter Veltroni, divisivi pur per differenti ragioni; qualche possibilità in più per Gentiloni, in meno per Castagnetti. Poche anche per Bersani e Frattini, ciascuno per le ragioni opposte dell’altro: troppo ampio a sinistra il primo, troppo a destra il secondo. Poi c’è Franceschini, davvero però il meno amato, si dice anche da Draghi.
Ci sarebbe Violante: un colpo a sorpresa ma forse anche no. Strada tutta in salita per la presidentessa Casellati. Un occhio invece lo metterei su due outsider di peso e molto stimati all’estero quali Roberta Pinotti e Lorenzo Guerini. Se poi nessun coniglio riuscisse a venir fuori dal cilindro, c’è sempre un Draghi, per fortuna, a toglierci le castagne dal fuoco. 900 voti alla prima votazione. Mondo rasserenato e addio beghe tra partiti e asfissie varie per Super Mario. Il quale, del resto, non potrebbe affrontare, con questa maggioranza, una lacerante stagione elettorale. Almeno non senza un proprio robusto partito alle spalle, di cui però non si intravvede traccia.
Certo, al netto della figura di Mario Draghi, davvero sempre più salvatore della Patria, non è uno scenario esaltante. E non dovrebbe essere questo il contesto di fondo per una scelta così alta della politica, quale l’elezione del Capo dello Stato. È difficile immaginare alcuni parlamentari, improbabili terrappiattisti, no vax, no pass, no tav, no niet insomma, o semplici affaristi, affidare il peso del proprio voto, decisivo in questo contesto disaggregato, alla coscienza di ciò che è meglio per il Paese, ammesso che ne abbiano appunto coscienza, e non invece a qualche interesse baso, bassissimo, inconfessato e inconfessabile. Ma tant’è: sic transit gloria mundi!
In questo scenario, il PD sarebbe comunque chiamato probabilmente al sacrificio più grande, ma sempre meno che trovarsi Berlusconi al Colle e comunque potrebbe avere, se non la guida del Governo, di certo una più ampia rappresentanza ministeriale, anche in vista delle prossime elezioni. Tutti gli altri la garanzia della prosecuzione della legislatura al 23 e Berlusconi, forse, un posto da Senatore a Vita. Non poco, anche per la sua agognata riabilitazione storica. Fantapolitica, appunto, di un Paese Fantastico.