Cantiere manovraStretta su Quota 100 e Reddito per risparmiare 7 miliardi e tagliare le tasse

Si tratta per definire il percorso graduale per tornare alla soglia dei 67 anni per andare in pensione. Ma quasi nessun partito di maggioranza sta aiutando il premier a trattare con la Lega. Mentre ci sono i «giovani senza quota» che non lasceranno il lavoro prima dei 70 anni, ai quali nessuno pensa

LaPresse

Il ritorno alla legge Fornero sulle pensioni con la cancellazione di Quota 100 sembra ormai deciso. La trattativa in corso con le forze di maggioranza serve a definire solo il percorso graduale per tornare verso la soglia dei 67 anni. I soldi stanziati sono quelli scritti nel Documento programmatico di bilancio inviato a Bruxelles: 600 milioni il prossimo anno, 450 nel 2023 e 510 nel 2024. Il presidente del Consiglio su questo punto non ha intenzione di fare passi indietro – scrive Repubblica. Forse già mercoledì o al massimo giovedì, presenterà la manovra in Consiglio dei ministri.

Si tratta di un boccone amaro per la Lega di Salvini, ormai rassegnata a cedere su Quota 100. Ma è anche una mossa destinata inevitabilmente ad aprire una frattura con i sindacati, in particolare con il leader della Cgil Maurizio Landini, che aveva bollato il passaggio momentaneo a Quota 102 come «una presa in giro».

Draghi e i suoi tecnici devono convincere soprattutto la Lega. Eppure quasi nessuno degli altri partiti di maggioranza (con l’eccezione di Italia Viva) sta aiutando il premier. Nessuna delle principali forze di maggioranza si sta esponendo per un ritorno al sistema com’era prima che nel 2019 il governo M5S-Lega creasse l’opzione di ritirarsi prima con pieni diritti previdenziali a 62 anni di età e 38 di contributi.

Tutti i partiti o quasi hanno lasciato soli il premier Mario Draghi e i suoi tecnici a progettare un ritorno del sistema pensionistico verso la sostenibilità finanziaria, l’equità fra generazioni e a un’economia in cui non manchi manodopera mentre entro il 2040 il Paese perderà quasi sei milioni di persone in età di lavoro per il declino demografico – commenta il Corriere. E questa è una delle spade di Damocle: la tentazione dell’intero spettro dei partiti di guardare di nuovo al consenso di breve termine, quando la transizione messa in cantiere in questi giorni finirà e sarà in carica un altro governo.

Mentre, come racconta Repubblica, c’è un esercito di «giovani senza quota», precari e sottopagati, che andranno in pensione ben oltre i 70 anni. Chi ci arriverà con assegni poveri, potrebbe uscire anche a 75.

Ma nessun partito alza la voce su questo. E nelle vesti di negoziatore per la Lega è rispuntato Claudio Durigon, l’ex sottosegretario all’Economia dimessosi per aver proposto di intitolare un parco a Arnaldo Mussolini. Draghi e il ministro dell’Economia, Daniele Franco, volevano nel 2022 un passaggio a Quota 102 (per esempio, 64 anni di età e 38 di contributi), a Quota 104 nel 2023 e l’esclusione solo dei lavori realmente usuranti dal 2024 in poi.

Questa proposta non passerebbe in Consiglio dei ministri, dunque sono allo studio due possibili alternative. La prima prevede il ritorno alla normalità pensionistica di prima del governo giallo-verde dopo un biennio di Quota 102, ma magari con una particolarità: nel 2023, l’assegno sarebbe calcolato con metodo contributivo (cioè sulla base di quanto ciascuno ha effettivamente versato nel sistema). La seconda e forse più probabile ipotesi prevede invece la spalmatura della transizione su un anno in più, con maggiore gradualità: si avrebbe Quota 102 nel 2022, Quota 103 nel 2023 e Quota 104 (in pensione a 66 anni) nel 2024.

Intanto si lavora anche per frenare l’espansione continua delle platee del Reddito di cittadinanza, tramite una stretta in entrata e più vincoli in uscita. Senza queste precauzioni, rischia di diventare difficile sostenere negli anni il taglio di 7 miliardi delle tasse sui redditi personali che il governo vuole avviare da subito.

Nel 2021 il costo del sussidio dovrebbe salire a una cifra fra 8,5 e 9 miliardi di euro, perché il numero dei beneficiari ha continuato a salire malgrado il rimbalzo dell’economia e la creazione di oltre 500mila posti. L’analisi dei dati rivela che probabilmente le frodi sono frequenti. Per prevenirle, la legge di bilancio dovrebbe stabilire più controlli ex ante per chi richiede il sussidio. Diventerà obbligatorio allegare alla domanda un certificato di residenza recente e si dovrà firmare la “Dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro” del richiedente e dei suoi familiari, prima ancora che la domanda venga presa in esame. È poi previsto un intervento sulla potenziale via di uscita dal sussidio. Oggi i beneficiari perdono l’assegno solo se rifiutano tre proposte di lavoro “congrue” da parte del loro centro per l’impiego, ma non accade quasi mai: di rado questi uffici pubblici non riescono ad arrivare alle tre proposte e intanto molti percettori arrotondano lavorando in nero. Di qui l’idea che chi beneficia del Reddito ne perderebbe una parte già al primo rifiuto di un’offerta di lavoro oppure, più probabilmente, a partire dal secondo rifiuto. Questi due interventi dovrebbero far risparmiare almeno 700 milioni rispetto all’aumento di 1,5 miliardi temuto nel costo del Reddito di cittadinanza l’anno prossimo.

Del resto non c’è alternativa. Ogni spesa in più per pensioni o reddito di cittadinanza rischia di andare a intaccare la riserva per ridurre l’aliquota Irpef del 38%. E, a 7 miliardi, il taglio è già al minimo indispensabile perché si avverta.

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