La legge 166/2016, meglio conosciuta come legge Gadda, dal nome della sua prima firmataria e più tenace propugnatrice, è uno dei capisaldi della messa in pratica effettiva di un principio che spesso sosteniamo ma che con fatica riusciamo effettivamente a rendere realtà. La legge, infatti, ha permesso di snellire sensibilmente tutta la procedura necessaria per donare alle associazioni bisognose le eccedenze alimentari (e non solo!) di ristoranti, fiere, aziende, negozi e luoghi di eventi, facendo di fatto diventare più economico donare rispetto a gettare. Una buona pratica che sta entrando sempre più spesso nelle attività di chi è attento a sé e alla sua impresa ma vuole mettere nel suo lavoro anche grande attenzione alla comunità e ha una sensibilità spiccata verso il mondo che lo circonda.
Nasce da questa sensibilità il progetto L’altra metà del cibo che unisce Metro, il più importante ingrosso di materie prime per la ristorazione, L’università Sant’Anna di Pisa, APCI, l’associazione professionale che riunisce i cuochi italiani e Banco Alimentare, una delle grandi associazioni che si occupa di raccogliere e donare a chi ne ha bisogno attraverso attività visibili e conosciute come la colletta alimentare ma anche con operazioni meno visibili ma altrettanto efficaci. Dalle ricerche effettuate dall’Università Sant’Anna è emersa una attenzione al tema che necessitava di più informazioni, che sono state inserite in un vademecum promosso da Metro e comunicato da APCI agli operatori del settore.
Il presupposto che ha portato alla creazione di questo progetto lo spiega il professor Iraldo, dell’Università Sant’Anna di Pisa: «È importante diffondere l’esempio perché diventi pratica comune: ma è anche importante che il personale di sala, attraverso la sua interazione con il cliente, riesca a spiegare le best practice e a farle diventare abitudine del consumatore. C’è una carenza di comunicazione da colmare: e il personale di sala è il testimonial che serve per spiegare al commensale che può richiedere una porzione più consona alle proprie esigenze, può prestare attenzione nel fornire pane e grissini solo in piccole quantità, rifornendo alla richiesta, sensibilizzare per evitare lo spreco anche a casa, facendo da tramite tra la cucina e i clienti in modo che questi ultimi apprendano dai cuochi le modalità per non sprecare il cibo anche tra le mura domestiche. Dalle nostre richieste vediamo un grande interesse dei ristoratori rispetto a ciò che la legge consente di fare in termini di non spreco. L’esempio degli chef è un grande beneficio per la collettività, ma forse quello su cui dobbiamo concentrarci è rendere visibili e rappresentate nella comunicazione anche le fasce più marginali della filiera, i beneficiari del dono dell’eccedenza. Dobbiamo lavorare su una migliore misurazione e conoscenza per far usare dove servono i giusti strumenti».
L’onorevole Gadda è ancora più decisa: «Alibi per chi spreca non ce ne sono più. La legge semplifica le procedure e permette davvero a tutti di limitare lo spreco. Da oggi in poi dobbiamo lavorare per togliere i colli di bottiglia gestionali, perché tutte le filiere, dal pescato, alla carne, alla panificazione, ai banchetti rispondano alla chiamata. È chiaro che soprattutto su larga scala non è facile, e serve una logistica attenta, non c’è una ricetta unica e ogni fase necessita di grandi capacità organizzative e dell’aiuto e del sostegno di capillari associazioni del territorio. Ma come Paese abbiamo messo l’asticella alta e vogliamo mantenerla: la barriera da vincere è culturale. Dobbiamo cercare di cancellare per esempio l’effetto indotto a scartare i prodotti per le loro caratteristiche estetiche. Dobbiamo migliorare la cultura degli italiani sulla differenza tra data di scadenza di un alimento e termine minimo di conservazione. Dobbiamo imparare a dare il giusto valore al cibo e a chi lo ha preparato rendendo la doggy bag una pratica sempre più comune. Ma dobbiamo avere anche la consapevolezza che siamo una comunità che lavora ad alto livello su questo tema. Usiamo il cuore e l’intelligenza collettiva e creiamo insieme un modo diverso in cui organizziamo le nostre imprese rispetto al terzo settore. Tutti insieme possiamo diffondere la cultura e la conoscenza della legge, essere testimoni dei suoi principi e farla vivere, così che non rimanga solo una bella pratica scritta sulla carta ma sia vissuta e attuata nella quotidianità».
Per Banco Alimentare le donazioni sono fondamentali. E questo progetto è determinante per far conoscere a un pubblico sempre più vasto di professionisti le possibilità concrete che tutti hanno di contribuire al suo sostentamento e quindi per garantire attraverso il loro lavoro quotidiano l’accesso al cibo a una parte di popolazione in difficoltà: «Costruire insieme un vademecum, dove aggiungere ognuno il proprio contributo a seconda delle proprie competenze, è stato un lavoro importante. Ma il cibo non si autorecupera: è importante avere tutti gli strumenti per portarlo a destinazione» spiegano dal Banco.
Apci è partner e portavoce di questo vademecum e aiuterà i suoi associati a conoscerlo e a metterlo in pratica, e come sostiene il direttore dell’associazione Sonia Re «Soprattutto in questo momento attività come questa sono di sostegno agli associati, perché permettono di fare network e squadra. C’è molta concretezza nel progetto e mai come ora è doveroso costruire percorsi che aiutino anche umanamente il comparto a lavorare bene insieme».
Ed è esattamente lo scopo che ha spinto Metro a promuovere questa attività, come sottolinea Niccolò Picco: «Metro è un’azienda che vende prodotti ma che sta facendo un percorso per diventare anche partner della ristorazione offrendo soluzioni per supportare i professionisti, innescando un dialogo costante con loro e offrendo consulenza e servizi relativi alla managerialità nel settore. È vero che siamo un player che vende cibo, ma per noi è importante avere una sensibilità sociale ed etica da applicare a un prodotto deperibile. Grazie al lavoro di monitoraggio svolto dall’università di Pisa, abbiamo scoperto le aree da presidiare, abbiamo conosciuto le esigenze di Banco alimentare e insieme a questi partner abbiamo costruito un vademencum, una brochure con i consigli operativi concreti, testati da 12 chef ambassador. La volontà è proprio di creare un rapporto di partnership con i nostri clienti, passare da un rapporto fatto di cessione di prodotti ad una vera attività di consulenza che spieghi come gestire al meglio la propria attività, sviluppando le competenze grazie alla nostra accademia, nata nel 2014 e che impegna 5 cucine e 4 chef».
Perché prima e dopo il lungo periodo di chiusura le esigenze del comparto sono cambiate. Prosegue Picco: «La consulenza e la formazione sono diventate una parte preponderante. Sono cambiati i contenuti necessari a chi fa questo lavoro e c’è maggiore propensione dei clienti a chiedere informazioni. C’è maggiore attenzione al food cost, si cercano informazioni per reingenierizzare i menu. Si presta grande cura alla stagionalità dei prodotti e i professionisti hanno sempre più interesse a conoscere e a usare meglio le attrezzature non food».
Anche il tema legato alla carenza di personale è molto sentito dall’azienda: «È un tema delicato, perché coinvolge persone, ha una parte di contrattualistica importante e complessa, ma uno dei vantaggi del lockdown è aver dato vita a tante attività digitali giovani con cui è facile fare accordi, quindi stiamo valutando di essere partner dei nostri clienti anche su questo fronte».