«La superficie sintetica toglie tecnica e qualità ai giocatori, anche Messi farebbe fatica su questo campo». Dopo il 3-3 di Champions League contro lo Young Boys, l’allenatore dell’Atalanta Gian Piero Gasperini se l’è presa con il campo in erba sintetica dello stadio di Berna. Bersaglio che aveva puntato già nel prepartita: «È un altro calcio, è una situazione abbastanza anomala, cambia molto, è tutto un altro rimbalzo, tutto un altro modo di calciare».
Il campo dello Young Boys ha riacceso a livello europeo le discussioni sui campi artificiali (interamente in erba sintetica), che sono criticati dai professionisti di tutti i campionati: è vero quel che dice Gasperini, c’è differenza tra un campo naturale e uno artificiale, in termini di prestazioni. A settembre Luke Shaw del Manchester United si era lamentato del sintetico di Berna.
Due anni fa i calciatori della Scottish premiership, il campionato scozzese, avevano firmato una petizione per abolire i campi sintetici. La Pfa (Professional fotballers association) Scotland, il sindacato dei calciatori scozzesi, sosteneva che «la palla rimbalza male, si recupera con maggior fatica dopo una partita e ci si muove peggio».
Qualche anno prima l’argomento era diventato tema di dibattito in molti campionati del Nord Europa. «I campi artificiali non sono il futuro. Molti club vogliono avvicinarsi agli standard europei, ma allo stesso tempo celebrano l’utilizzo dell’erba sintetica: è un controsenso», aveva detto Mattias Bjarsmyr dell’IFK Gothenburg. Addirittura David Elm – ex attaccante svedese, passato anche per la Premier League – riteneva che una partita sul campo della Tele2 Arena di Stoccolma avesse «poco a che fare con il calcio, o quantomeno non con il calcio a cui siamo abituati, dove pressing e tackle scivolati sono nella natura del gioco».
La rivista Archistadia nel 2015 aveva parlato con giocatore di Serie A che diceva: «Entrare in scivolata sull’erba sintetica fa molto più male che sull’erba naturale, e spesso è meglio evitarlo adattando il proprio stile di gioco».
I giocatori notano la differenza in termini di sensazioni, di risposta del campo, di prestazioni. Oltretutto non c’è un solo tipo di erba artificiale, quindi non hanno tutti lo stesso rimbalzo angolare, rimbalzo verticale, rotolamento del pallone, aderenza; così come non sono tutte uguali le prestazioni dei campi in erba naturale, ovviamente.
Un equivoco che la Fifa sembra non voler risolvere. Da un punto di vista regolamentare, infatti, i campi in erba sintetica di nuova generazione possono facilmente rientrare nei parametri: l’organo di governo del calcio ha deciso di mantenere volutamente le maglie molto larghe, in modo da dare maggiori opportunità ai produttori di campi sintetici.
Queste aziende, tra l’altro, sono anche fonte di entrate preziose per la Fifa: le società che vogliono ottenere la licenza “Fifa Preferred” devono rispettare delle condizioni minime nelle prestazioni dei loro campi e pagare un canone annuale di 100mila dollari. Nulla che i grandi player del settore non possano permettersi.
Un altro luogo comune è che i campi in erba sintetica siano costruiti nei posti in cui il clima rende più difficile usare l’erba naturale. Linkiesta ha contattato due aziende che producono campi in erba sintetica e misti, entrambe hanno confermato che ormai ci sarebbero gli strumenti necessari per giocare su un campo in erba naturale o mista praticamente a tutte le latitudini.
Certo, ci sarebbero delle differenze nei costi di manutenzione, ma nulla che un club professionistico di prima fascia non possa permettersi (discorso diverso per i campi comunali, il campo di una scuola o un campo diviso da diverse società dilettantistiche, che non hanno bisogno di prestazioni impeccabili ma devono garantire un uso intensivo che l’erba naturale non potrebbe sostenere).
Un campo sintetico richiede dai 30mila ai 50mila euro all’anno per essere pulito e spazzolato, oltre a tutti i trattamenti necessari. Un campo ibrido richiede circa 150mila euro mediamente, anche qui con costi variabili.
Nonostante i costi più elevati, o forse proprio per la maggiore qualità, i campi ibridi sembrano sempre più una soluzioni ottimale. Si tratta di campi in erba naturale con una piccola percentuale, intorno al 10% di solito, di fibre sintetiche che servono per perfezionare stabilità e risposta del prato.
Si distinguono, generalmente, i sistemi a filo cucito da quelli a supporto continuo. Nella prima categoria rientra ad esempio il campo di San Siro (Milano), il cui prato naturale è rafforzato grazie a 20 milioni di fibre di polipropilene infilate nel terreno – si può fare un paragone con i tondini di ferro usati nel cemento armato.
I sistemi con supporto prevedono invece che le fibre dell’erba sintetica siano inserite in un supporto (backing), analogamente a quanto avviene nei manti sintetici, ma tale da essere facilmente attraversato dalle radici dell’erba naturale e comunque in grado di essere traspirante quanto necessita per non rendere asfittico il terreno sottostante (qui spiegato con immagini e grafici dal portale specializzato Sport&Impianti).
I campi sintetici sembravano destinati a una grande diffusione all’inizio di questo secolo, e hanno raggiunto l’apice all’inizio degli anni Dieci. Poi le critiche dei calciatori e le differenze minime nei costi di gestione – minime per club di alto livello di un’industria ricca come quella calcistica – ne hanno ridimensionato l’immagine, al punto che oggi la soluzione ibrida appare molto più conveniente perché permette di avere le sensazioni di un campo naturale, con la stabilità e costanza nel rendimento di un sintetico indipendentemente dalle condizioni atmosferiche.
Non è un caso che il sintetico dello Young Boys sia il solo tra le 32 squadre di questa edizione di Champions League e che nei 5 grandi campionati non ci siano campi di questo tipo.