Scenario QuirinaleDraghi deve restare a Palazzo Chigi, dice Carlo Messina

Secondo l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, la legge di bilancio dimostra «pragmatismo e realismo». Ma il compromesso «non può essere il modo in cui gestiremo prossimo anno e mezzo di governo», spiega. E «la lotta alla povertà» deve essere la «priorità assoluta»

Carlo Messina CEO Intesa Sanpaolo

La legge di bilancio dimostra «pragmatismo e realismo». A Palazzo Chigi, secondo l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, c’è «il meglio che l’Italia possa esprimere». E l’ideale – dice in un’intervista alla Stampa – è che Mario Draghi resti dov’è.

«I consumi hanno ripreso e questo ha portato a un’accelerazione della crescita. In parallelo negli ultimi mesi si è assistito a un ritorno degli investimenti da parte delle imprese e, in collegamento con l’avvio del Pnrr che ha cominciato a far attivare degli investimenti pubblici, questo sta generando una crescita del Pil che secondo me supererà il 6%, che rappresenta anche un volano per entrare nel 2022 con un potenziale di crescita intorno al 5%», dice il banchiere. «Ora dobbiamo fare in modo che la crescita risulti sostenibile, che non sia solo collegata al 2021 e al 2022, ma che si realizzi poi negli anni successivi. E qui è fondamentale il corretto utilizzo dei fondi che ci arriveranno dall’Europa».

 

Ora, spiega, la macchina «si sta muovendo partendo dalle grandi aziende che stanno cominciando a ridurre i depositi bancari e a usarli per poter fare i loro investimenti. E alle grandi aziende stanno seguendo in filiera le piccole e medie imprese. Quando si muovono le pmi si genera un ciclo di crescita che ha delle condizioni strutturali. Gioca molto la fiducia: per poter realizzare dei percorsi di investimento le imprese devono vedere delle prospettive di sostenibilità nei loro investimenti. E qui credo che sia fondamentale il collegamento con il piano Next Generation Eu. Se quel piano non dovesse avere un’accelerazione ci troveremmo con un ulteriore freno agli investimenti e ciò, in termini di prospettive del Paese sarebbe drammatico».

 

Messina parla di «un’occasione unica per attivare la crescita e lavorare sui punti di debolezza del nostro Paese: da un lato il debito pubblico, dall’altro la povertà. Se questo non accadrà, torneranno in evidenza gli elementi fino ad oggi non più considerati come elemento di attenzione. Ricordiamoci che il nostro Paese ha un debito pubblico di 2.700 miliardi, 750 miliardi dei quali ce li finanzi la Bce. Se non riusciremo a crescere, perché non attiveremo i motori, esso diventerà un fattore di grandissima attenzione internazionale».

 

Secondo l’ad di Intesa Sanpaolo, la lotta alla povertà «rappresenta una priorità assoluta. Se noi siamo preoccupati per ciò che accade nelle piazze per mille, cinquemila manifestanti per il Green Pass, immaginiamo cosa comporta avere 5 milioni di poveri che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese, a mangiare, a soddisfare bisogni elementari. È indispensabile poter accelerare sulla crescita, che porta posti di lavoro e dignità, e fare interventi immediati. Le priorità sono il contrasto alla povertà e dare vaccini ai Paesi che non ne dispongono. Sono più importanti del Clima, a cui ci si potrà dedicare negli anni a venire».

 

Sulla legge di bilancio, Messina dice che, nelle condizioni in cui ci troviamo, rappresenta «una manovra di grande realismo e molto pragmatica. È evidente che però questo non può essere il modo in cui gestiremo prossimo anno e mezzo di governo. Ci sono fasi – come questa che è di transizione mentre ci si avvicina alla scelta del futuro Presidente della Repubblica – in cui il compromesso è inevitabile, per tenere tutti a bordo. Poi bisognerà trovare qual è il filone di priorità. Mi sembra che il presidente del Consiglio abbia dimostrato in tutta la sua storia di avere un grado di capacità nell’affrontare anche le fasi transitorie con una visione che ha sempre portato risultati nel medio-lungo termine».

Sulle prospettive per il Quirinale, «rispondo non da banchiere, ma da cittadino», dice Messina. «Ritengo che oggi abbiamo un presidente della Repubblica integerrimo, un galantuomo che ha gestito le fasi difficili del populismo e della pandemia in modo unico, un personaggio irripetibile. A Palazzo Chigi c’è un uomo che è il meglio che l’Italia possa esprimere in credibilità, cose fatte e reputazione. Togliere questo tipo di prospettiva al nostro Paese lo considero un fattore che indebolirebbe di molto il nostro Paese. Ritengo che il presidente del Consiglio, rimanendo al suo posto, possa fare il bene del nostro Paese».

Sulla ripresa grava però anche l’incognita della tensione sui prezzi delle materie prime. Messina è ottimista: «Credo che l’elemento collegato con la crescita dei prezzi in Europa abbia un carattere non strutturale. Superata la fase invernale, nel corso del 2022, una grossa componente verrà riassorbita». E anche la fine degli acquisti di debito sovrano del nostro Paese da parte della Bce non lo preoccupa. L’aumento dello spread è «un fenomeno fisiologico dovuto al rialzo dei tassi. In Usa avverrà più rapidamente, la Bce attenderà il 2023 prima di iniziare a muovere tassi di interesse. Oggi il debito non è considerato la priorità da nessuno degli investitori internazionali. L’Italia è vista come un’opzione di crescita perché ha un potenziale di rimbalzo molto significativo, se la sua gestione sarà corretta. Oggi non c’è elemento che io veda come fattore di possibile allarme, ma grandissima volontà di effettuare investimenti nel Paese».

E sulle banche italiane, nessuna crisi all’orizzonte. «Ritengo che in Italia abbiamo due condizioni di attenzione. Una è Carige e ritengo che nel corso dei prossimi mesi possa avere un suo percorso di soluzione positiva. L’altra è Mps. Ma Siena è tornata a generare utili. Ed è controllata dallo Stato. Solo in Italia questo può essere considerato un problema, soprattutto per un arco temporale limitato: in Europa non è uno stigma per nessuno. È chiaro che bisogna garantire il tempo necessario perché la Commissione Ue possa consentire di continuare a operare in tale contesto statale. Nel contempo però i tassi tenderanno a salire, e ciò favorirà la redditività di banche come Siena con forti depositi. Nel mentre lo Stato potrà lavorare per una privatizzazione a condizioni migliori di quelle della negoziazione che non ha avuto buona conclusione».