La Cop26 in corso a Glasgow, in Scozia, non è finita, ma siamo alla fase finale, quella che, in un romanzo o in un film, potremmo chiamare “resa dei conti”. Se all’inizio della conferenza per il clima, infatti, generalmente si esprimono buoni propositi e si valutano le basi su cui iniziare i lavori, nella seconda parte invece vanno prese le decisioni più difficili, e intraprese azioni politiche meno retoriche e più concrete. Si decide il come si raggiungeranno gli obiettivi preposti, si firmano accordi e si sceglie se renderli vincolanti.
Nella fase finale dei lavori delle Cop ci si riunisce in tavoli di lavoro che trattano temi e accordi più specifici rispetto a quelli annunciati a inizio conferenza. A questi tavoli spesso siedono pochi delegati, cioè quelli direttamente interessati e disposti a trattare, e naturalmente è in questa fase che vengono prese le decisioni più importanti. Ora siamo in quella fase.
Facciamo un passo indietro: quali sono gli obiettivi della Cop in corso? Il primo e più importante è quello di trovare un accordo il più ampio possibile per mantenere la temperatura della Terra entro i +2° centigradi (ancora meglio se entro i +1,5°) rispetto ai livelli preindustriali. Ma anche trovare un altro accordo, questa volta su come fermare la deforestazione; stabilire lo stanziamento di importanti fondi economici che i paesi più ricchi dovranno impegnarsi a pagare verso quelli più poveri.Si tratta di fondi per sorreggere i costi della transizione ecologica e i danni causati dal riscaldamento globale. Infine c’è da mettere nero su bianco le regole su cui si baserà il cosiddetto “mercato dei crediti verdi”, cioè il sistema basato su certificati negoziabili (dove ogni credito corrisponde all’emissione di una tonnellata di CO2) che, si spera, permetterà di tener conto delle emissioni di ogni paese.
Alcuni di questi obiettivi sono già stati raggiunti, come l’accordo sulla deforestazione, già firmato da oltre cento paesi. Ma ora che si arriva alle battute finali anche sugli altri obiettivi, ecco arrivare alla Cop26 scontri, disaccordi e problemi.
Una delle novità più importanti delle scorse ore è stata la presenza a Glasgow di Barack Obama. L’ex presidente degli Stati Uniti ha fatto un discorso molto apprezzato e commentato in cui tra le altre cose ha criticato il suo predecessore Donald Trump, per aver deciso unilateralmente di uscire dagli accordi di Parigi, e definito deludente l’assenza del presidente cinese Xi Jinping e di quello russo Vladimir Putin.
Obama ha anche detto che i giovani hanno il diritto di essere arrabbiati e che gli anziani, se non ascoltano, «dovranno farsi da parte». Tra le reazioni al discorso però ci sono state anche quelle, piuttosto critiche, di una parte importante dell’attivismo. Come l’ugandese Vanessa Nakate che, twittando un video di dodici anni fa di un discorso dello stesso Obama, ha sottolineato come le sue promesse di 100 miliardi dollari per i finanziamenti alla transizione ecologica siano state disattese. Nakate ha anche lanciato un hashtag apposito, #ShowUsTheMoney, che fa eco all’altra aspra critica rivolta, per bocca di Greta Thunberg, dagli attivisti ai delegati, quella secondo cui quelle dei politici sarebbero solo chiacchiere. Letteralmente, dei «bla bla bla».
A riprova che ci sia una spaccatura che si va ampliando tra gli attivisti e la parte “ambientalista” dei politici e dei delegati c’è una dichiarazione della stessa Thunberg, che ha definito la Cop26 «un fallimento» già venerdì scorso. Ma di frizioni ce ne sono di ben più importanti: secondo un rapporto diffuso dall’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) nel caso in cui tutti gli impegni recenti presi dalla comunità internazionale per la riduzione delle emissioni venissero rispettati allora si riuscirà a mantenere la temperatura terrestre a circa +1,8° rispetto ai livelli preindustriali. L’obiettivo di mantenerla entro i +1,5° sarebbe quindi disatteso, ma considerato che gli scienziati raccomandano un contenimento entro i +2° sarebbe comunque un’ottima notizia.
L’obiettivo del mantenimento delle temperature è raggiungibile? Difficile dirlo. Da una parte è vero che ormai i paesi che si sono impegnati a raggiungere la neutralità carbonica sono così tanti da equivalere al 90% dell’economia mondiale. Dall’altra però ci sono dati che sostengono il contrario. Secondo una ricerca presentata proprio a Glasgow in questi giorni e firmata dal Climate Action Tracker, la temperatura aumenterà di oltre i 2,4° entro la fine del secolo. La stima è stata fatta proprio sulla base delle dichiarazioni, anche non vincolanti, dei paesi partecipanti alla Cop26.
Tirando le somme potremmo dire che, ora che si arriva alle decisioni più pratiche e importanti, la Cop26 assume vera importanza anche oltre gli slogan e i rapporti diplomatici. Ma, paradossalmente, è proprio in questa fase che l’attenzione mediatica, solitamente, cala: perché si parla di dettagli e non di idee generiche e più facili da veicolare sui media, certo, ma anche perché quando si tratta di decisioni pratiche la questione climatica si intreccia necessariamente con quelle politiche, economiche e sociali.
Basta citarne una, forse la più importante di tutte: ora che alla Cop26 bisognerà decidere sui fondi che i paesi più ricchi dovranno destinare a quelli in via di sviluppo, ci saranno da presentare assicurazioni sul loro uso. Il tema è spinoso, perché i meccanismi di verifica delle Nazioni Unite potrebbero scontrarsi con la mancanza di trasparenza tipica di regimi e sistemi autoritari. Un tema inadatto agli slogan, ma estremamente importante. Anche perché, sostengono alcuni, potrebbe essere un modo per i paesi più ricchi per svincolarsi da responsabilità, obblighi e promesse.