Sono anni che si parla della città come della comunità economica e sociale da cui ripartire per costruire un nuovo modello di aggregazione civile, politica e culturale. La città è il centro del mondo, il cuore della civilizzazione, l’elemento umano della macchina istituzionale. Per questo, abbiamo deciso con Nadia Terranova di affidarla alla creatività e all’immaginazione degli scrittori coinvolti in questo terzo numero di K, dopo il sesso del primo numero e la memoria del secondo.
Leggerete come ciascuno dei narratori italiani abbia colto il suggerimento in modo diverso e personale, ma del resto ognuno di noi ha la propria città del cuore, reale e ideale, la propria Itaca, la propria casa e quindi noterete come nessuno degli scrittori presenti su questo numero abbia minimamente pensato di lusingare la curatrice della rivista raccontando di Messina o il direttore parlando di New York.
Su New York, città letteraria per eccellenza e mia passione incondizionata, sono stati scritti numerosi capolavori come si conviene a una metropoli che è stata capitale del mondo negli ultimi sessant’anni. Non solo racconti o romanzi, ma anche film, serie televisive, opere artistiche di ogni genere e moltissime canzoni indimenticabili, scritte o interpretate da Frank Sinatra, Jay Z, Billy Joel, Bruce Springsteen, Rem, St. Vincent, U2, Sting, Lou Reed.
Ma niente, niente, è esatto quanto le parole scelte da E. B. White nel più bel ritratto mai scritto sulla grandezza di New York – un ritratto scritto nel 1948, tre anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale: «It’s a miracle that New York works at all. The whole thing is implausibile». «Che New York funzioni è un miracolo. È una città inverosimile». Il miracolo della città.
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