Vista sul QuirinaleLa priorità per l’Italia è che Draghi resti al governo fino al 2023, dice Mara Carfagna

La ministra per il Sud, di Forza Italia, spiega al Corriere che se il premier «salisse al Colle, un minuto dopo avremmo da risolvere il rebus del governo, con la possibile apertura di una crisi, con maggioranze non scontate». E se si andasse alle elezioni, «che fine farebbero le riforme? Le urne non sono un problema per i partiti, ma per il Paese che sprecherebbe l’opportunità di un nuovo boom economico e sociale»

Foto Vincenzo Livieri - LaPresse

Per Mara Carfagna è una questione di «priorità». E oggi la priorità italiana è avere un governo guidato da un presidente del Consiglio di prestigio in grado di impostare le riforme del Pnrr e di accedere ai fondi europei da qui al 2026. Per questo, secondo la ministra per il Sud, che con i colleghi Gelmini e Brunetta è a capo dell’area «governista» di Forza Italia, non sarebbe la mossa giusta quella di eleggere Mario Draghi al Quirinale.

Carfagna lo dice in un’intervista al Corriere della sera. «Draghi sarebbe un ottimo capo dello Stato, è ovvio», spiega. «Ma il semi-presidenzialismo in Italia non c’è: dal Quirinale potrebbe avere un ruolo di indirizzo, non operativo. Da Palazzo Chigi invece potrebbe portarci al 2023, a metà del cammino previsto per ottenere i fondi europei, con le riforme incardinate e il treno sui giusti binari. Questo esecutivo è nato per portare l’Italia fuori dall’emergenza sanitaria e da quella economica: interrompere questo percorso non farebbe bene al Paese».

Il problema, dice la ministra, è che «se Draghi salisse al Colle, un minuto dopo avremmo da risolvere il rebus del governo, con la possibile apertura di una crisi, con maggioranze non scontate, con il rischio di un esecutivo solo elettorale o comunque debole. E se si andasse alle elezioni, in un clima di scontro, che fine farebbero le riforme? Le urne non sono un problema per i partiti, ma per il Paese che sprecherebbe l’opportunità di un nuovo boom economico e sociale».

E su Berlusconi al Quirinale? «Se decidesse di candidarsi, tutta Forza Italia lo sosterrebbe con ogni energia», risponde. Ma Forza Italia sembra tutt’altro che unita, con Carfagna alla testa dei ministri critici su una linea considerata troppo appiattita sugli alleati. La linea, dice però Carfagna, «è cambiata quando Berlusconi all’inizio del Covid ha rimesso Forza Italia dove deve essere: al centro, a difesa dei valori liberali, moderati, europeisti, responsabile sulla pandemia. I nostri dubbi, condivisi da una parte significativa del partito, riguardano la capacità di governo di una coalizione a trazione sovranista in uno scenario europeo in cui l’Italia sarà sempre più chiamata a un ruolo di grande responsabilità, incompatibile con posizioni euroscettiche o estremiste. Berlusconi è stato molto chiaro, ma nel partito c’era chi – nel periodo in cui lui ha dovuto prendere una pausa – sembrava timoroso di contraddire la narrazione sovranista».

Pace fatta, insomma. «Non abbiamo mai litigato», precisa Carfagna. «Nell’ultimo incontro abbiamo spiegato bene la nostra posizione: la sua linea garantista, liberale, europeista è la nostra. Anzi, siamo stati proprio noi a difenderla quando altri davano segnali di volerla archiviare…». E sulla Lega, dopo l’auspicio di Giancarlo Giorgetti di un ingresso nel Ppe mentre Salvini lavora con Le Pen, commenta: «Gli elettori devono sapere se si vota per un’idea di Italia amica dell’Europa o euroscettica, se si sta dalla parte di chi vuole i vaccini o di chi li osteggia. Tanto più il chiarimento sarà obbligato se resterà la regola che chi prende più voti in una coalizione la guida».

Ecco perché lo schema del primo partito della coalizione che esprime leader e premier «può ancora essere adottato», dice, «ma con senso di responsabilità o si rischia di scatenare una competizione interna così feroce da finire per disintegrare la coalizione. Quel senso di responsabilità che ha sempre ispirato Berlusconi da leader del centrodestra».

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