Stando a quanto riporta il Guardian, Meta, il nuovo nome scelto per la società che controlla Facebook, WhatsApp, Instagram e Oculus, è un marchio già registrato dal novembre 2020 da La Meta PCs, una compagnia americana dell’Arizona. Azienda di 25 dipendenti circa, attiva principalmente nella vendita di computer, laptop e software per gamer.
«Se ce lo chiederanno, non venderemo il nome per meno di 20 milioni di dollari», ha detto uno dei fondatori della società, che sottolinea che avendo sostenuto forti investimenti nella costruzione del brand non vuol rischiare che vengano totalmente annullati. Pare tuttavia che Mark Zuckerberg potrebbe comunque trovare il modo di evitare l’acquisto, in virtù del fatto che negli Stati Uniti i diritti sull’uso del marchio non sono legati alla registrazione, ma – appunto – al suo uso.
Comunque vada questa piccola contesa non comprometterà di certo il riverbero globale che questa operazione di rebranding ha ottenuto. E non scalfirà la consapevolezza che sia stata fatta per rendere immediata l’idea che a partire da adesso la società non si limita più a rappresentare soltanto Facebook, ma anzi sottolinea a gran voce che gli investimenti e gli sforzi saranno concentrati a stabilire il metaverso: il nuovo e più sterminato territorio di conquista che il prossimo futuro offre.
In queste ore abbiamo appreso che il metaverso è una nuova versione di internet in cui grazie alla realtà virtuale e a quella aumentata le esperienze potranno essere molto simili a quelle reali, e quindi molto complesse. E anche che è un termine derivato da un romanzo di fantascienza cyberpunk del 1992 che ne suggerisce una visione distopica. Tramite un post a firma dei due Vp Clegg e Olivan, alcune settimane fa l’azienda ha annunciato di voler procedere spedita su questo progetto, e per farlo intende creare 10mila nuovi posti di lavoro nell’Unione Europea.
In un periodo non facile per Facebook, dopo il recente blackout che ha coinvolto tutte le sue app e le accuse di Frances Haugen, l’ex dipendente che ha raccontato quanto il social metta il profitto davanti alla sicurezza favorendo l’odio online, questa promessa di generare posti di lavoro getta acqua sul fuoco. Ma in campo ci sono molte altre società che da tempo investono attivamente milioni di dollari per creare un sistema che possa dirsi il primo metaverso.
Il motivo risiede nel fatto che rappresenta una tra le sfide commerciali più golose di oggi: immaginare una nuova internet, in cui è di nuovo tutto da costruire. Ecco perché in molti ambiscono a essere il primo player che riuscirà a realizzare un simile terreno virtuale neutrale solido ed efficiente, su cui chiunque vorrà investire per edificare il proprio business.
È dunque oltremodo ragionevole che oltre a Meta vi siano diverse realtà che ci stanno provando. Una è Epic Games, la società che produce il videogioco Fortnite. Ma ci provano anche Nvidia e Roblox, la piattaforma dove chiunque può creare esperienze virtuali per gli altri utenti. Ma queste sono solo le azienda che con maggiore frequenza parlano di metaverso nei round di finanziamenti. E non è un caso che siano realtà con una forte relazione con i videogiochi: oggi sono proprio i giochi online, per la loro capacità di contenere anteprime cinematografiche o addirittura concerti, ad avvicinarsi maggiormente a una prima forma di metaverso per dinamiche, socialità e economia.
La domanda quindi è: quanto abbiamo veramente bisogno di una nuova realtà virtuale che simuli il più realisticamente possibile tutte quelle dinamiche sociali, quelle esperienze sensoriali e emozionali, e quegli assetti economici e politici, quando già vi siamo immersi?
«Facebook è all’inizio di un percorso per contribuire a costruire la piattaforma informatica del futuro. Il metaverso si basa sull’idea che rafforzando la sensazione di presenza virtuale, l’interazione online può diventare molto più vicina all’esperienza che si ha con le interazioni di persona», hanno scritto Clegg e Olivan nel loro post. Ma che abbia il potenziale di aiutare a sbloccare l’accesso a nuove opportunità creative, sociali ed economiche grazie al vantaggio degli europei che sono chiamati a plasmarlo sin dall’inizio è solo la conclusione di quell’intervento. Insomma, è solo il loro punto di vista.