Cinque ministre per riscrivere le norme sul femminicidio. Gelmini, Bonetti, Lamorgese, Cartabia e Carfagna sono al lavoro per chiudere in una settimana un nuovo pacchetto normativo che comprenderà provvedimenti di fermo più efficaci per gli autori delle violenze di genere, una sorta di «scorta» per le donne che hanno denunciato e nuovi aiuti economici che potenzieranno o affiancheranno il «reddito di libertà» già in vigore.
La ministra per gli Affari regionali Mariastella Gelmini lo anticipa in un’intervista a Repubblica, alla vigilia del 25 novembre, la giornata contro la violenza sulle donne. «Non possiamo abbandonare le donne alla ritorsione dei loro carnefici», dice, mentre in Italia ogni giorno si registrano 89 episodi di violenza di genere. Un’emergenza sociale che le leggi finora non sono riuscite a impedire.
«È purtroppo un dato endemico e allarmante, che ha radici complesse: culturali, economiche, sociali. Estirparle è un processo che richiede tempo e una strategia a 360 gradi», spiega la ministra. La legge sul codice rosso «è una misura di fondamentale importanza votata da tutto il Parlamento perché dispone una corsia preferenziale nelle indagini, prescrivendo tempi serrati per l’adozione dei provvedimenti. Ma sapevamo che, da sola, non sarebbe stata risolutiva anche perché presuppone che ci sia stata una denuncia».
Tra le norme allo studio con le ministre Bonetti, Lamorgese, Cartabia e Carfagna, c’è «un pacchetto di misure che puntano, da un lato, alla tutela delle donne che subiscono violenza, dall’altro a rafforzare l’efficacia delle misure sanzionatorie e interdittive». In concreto, si pensa a «misure di fermo più efficaci per gli autori delle violenze e una protezione per le vittime. Non possiamo lasciare sole le donne che denunciano, senza stravolgere le loro vite».
La proposta delle «scorte di Stato», oggetto di critiche, «è una misura di tutela per i casi estremi e con il consenso di chi subisce violenze», spiega Gelmini. «Non c’è niente di peggio di una donna che abbia sporto denuncia e poi sia stata abbandonata alla ritorsione del suo carnefice. E poi potenzieremo gli aiuti economici per le vittime. È una priorità di tutto il governo, come ha detto il premier Draghi. Con la legge di bilancio abbiamo intanto stabilizzato le risorse per centri antiviolenza e case rifugio».
La ministra per il Sud Mara Carfagna, sul Messaggero, propone di realizzare i centri antiviolenza nei sequestrati alla mafia, con un bando finanziato dal Pnrr. «Abbiamo varato proprio ieri, d’intesa con il ministro Elena Bonetti, un bando che “vale” 300 milioni provenienti dal Piano nazionale di ripresa: finanzierà opere di ricostruzione, ristrutturazione o adeguamento degli immobili requisiti ai clan, che potranno così essere restituiti alla collettività», dice Carfagna. «E nell’ambito delle possibili destinazioni d’uso, ai fini della graduatoria finale, abbiamo deciso di premiare con un punteggio aggiuntivo i progetti destinati a creare all’interno degli edifici centri antiviolenza per donne e bambini o case rifugio, oppure ancora asili nido o micronidi. Prevediamo 200 interventi e personalmente spero che i Comuni del Sud ne approfittino per offrire un servizio essenziale a migliaia di cittadine meridionali che non hanno uno “sportello” qualificato a cui rivolgersi se subiscono violenza o stalking. Il Mezzogiorno può usare il bando per riappropriarsi non solo di beni materiali ma anche di diritti: è questa la visione che voglio sostenere».
È «un’iniziativa che condivido in pieno», dice Gelmini. Ma dati e analisi del fenomeno ci dicono che esiste ancora una reticenza delle donne nel denunciare. I fattori sono molti: «Alcuni psicologici, perché molte donne vivono gli abusi con incomprensibili sensi di colpa o pensano di riuscire a redimere il partner, altri pratici. A cominciare dall’aspetto economico che le costringe in una situazione di dipendenza dalla quale non vedono uscita. E poi c’è la paura di restare sole e di subire ritorsioni: è lì che dobbiamo intervenire. Le donne che denunciano devono essere protette».
La commissione parlamentare sui femminicidi ha definito la risposta istituzionale data finora alla violenza di genere «non adeguata rispetto all’esigenza di interrompere le condotte violente».
Carfagna concorda: «Le Questure ci dicono che ogni singolo giorno 89 donne subiscono e denunciano atti di violenza, nel 62% dei casi in famiglia. È una gigantesca emergenza, ma non viene percepita come tale. Dietro i numeri ci sono persone che spesso rischiano la vita, non solo donne ma anche bambini. Se statistiche del genere riguardassero rapine, terrorismo, mafia, avremmo pool specializzati ovunque per difendere le vittime. Bene ha fatto il presidente Draghi a definire la difesa delle donne “una priorità”».