La sottosegretaria all’Economia Maria Cecilia Guerra (LeU) sul Corriere propone il taglio del cuneo fiscale in busta paga, ma non dell’Irap. La viceministra Laura Castelli, Cinque Stelle, al Sole 24 Ore dice che vorrebbe la trasformazione dell’Irap in un’addizionale Ires e il taglio dell’Irpef per tutte le categorie. Le ricette dei partiti di maggioranza su come usare gli 8 miliardi destinati nella manovra economica al taglio delle tasse sono ancora molto distanti. Eppure Riccardo Molinari, capogruppo della Lega a Montecitorio, dice al Corriere che un accordo sul fisco è possibile e che apprezza la proposta del segretario del Pd Enrico Letta di riunire i leader della maggioranza per trovare un’intesa.
«È utile che la politica si faccia sentire perché con un governo di larghe intese come quello che abbiamo il Parlamento ha poche possibilità di incidere. Ma è giusto che i partiti possano dire la loro sul più importante documento di programmazione economica», spiega. «La Lega è da mesi che propone un confronto con le altre forze politiche sui principali temi che arrivano sul tavolo. Su alcuni temi (le pensioni) non ci sono margini di intesa. Su altri vediamo cosa si può fare».
Molinari ammette che anche sulla destinazione delle risorse destinate a ridurre la pressione fiscale i partiti sono tutt’altro che allineati. «Ma va fatta una scelta. Io non credo sarebbe utile destinare un pezzo a ciascuno nell’illusione di accontentare tutti. Meglio concentrarsi su poche cose», dice. «Bisogna investire su due tre interventi di forte impatto. Non avrebbe senso tagliare un punto alle aliquote Irpef perché non se ne accorgerebbe nessuno. Meglio incidere sulle partite Iva (ampliamento del tetto della Flat tax) e sul taglio del cuneo fiscale».
Ma la Flat tax non piace al Pd, tantomeno a Draghi. Molinari ricorda che «il regime dei minimi fu introdotto dal Pd guidato da Matteo Renzi. E comunque, si tratta di estendere la platea dei beneficiari. Insieme a questa, si può assestare un discreto taglio al costo del lavoro».
Il tavolo dei leader per il momento non è stato neanche convocato. «Per ora se ne è parlato solo sui giornali. Mi pare che il tempo stringa», dice il deputato leghista. Ma meglio evitare di parlare di Quirinale. «Direi che sarebbe caldamente da evitare. Il tema agiterebbe ulteriormente le acque che già non sono tranquille. Meglio tenere distinte le questioni di governo dalle scelte istituzionali. Ora è solo una lotteria di nomi fine a sé stessa».
Secondo Molinari, «è più importante che prima di arrivare a quell’appuntamento il centrodestra individui una posizione comune. Noi dobbiamo pensare anzitutto a tenere uniti tutti i nostri, anche perché come coalizione abbiamo la maggioranza relativa. Da questa dobbiamo partire per confrontarci con il centrosinistra». Anche perché «l’avvicinarsi della fine della legislatura, associata al taglio dei parlamentari, renderà il clima molto difficile. Ma il problema l’avranno più i 5 Stelle. Loro sì che hanno problemi di tenuta».
C’è il «rischio reale» che il voto per il Quirinale si trasformi in un Vietnam, ammette. Ma nella Lega, assicura, «c’è stato un bel chiarimento. Sono state rettificate alcune posizioni e confermata piena fiducia nel segretario. Non esiste alcuna possibilità di cambiare collocazione europea. E inseguire i moderati significa andare alla ricerca di un mondo che non c’è più. La Lega è un movimento di rottura che sta al governo anche per impedire che prevalga la politica della sinistra».