«Me lo sto gustando, siccome so che non accadrà, non sono neanche accompagnata dalla preoccupazione e dai polsi che tremano solo all’idea di dover ricoprire una responsabilità così alta». Rosy Bindi, ex ministra della Salute nel governo Prodi, già presidente del Partito democratico, «è gratificata» dal fatto che qualcuno tifi per una sua salita al Colle, ma sa che il totonomi fatto alla vigilia delle elezioni del presidente della Repubblica lascia il tempo che trova. In ogni caso, «dovrebbe essere normale» prendere in considerazione l’ipotesi di una donna, dice alla Stampa. Ma dopo le votazioni per il Quirinale «le cose cambieranno, tutti si sentiranno più svincolati, ma in nessun caso si andrà al voto anticipato».
La proposta di Enrico Letta di un patto tra i leader dei partiti sulla manovra economica non crede sia facile da realizzare «in una compagine che non si può definire una maggioranza», spiega. «E senza nulla togliere all’idea di Enrico, che mira a dare una grossa mano al premier, credo che una qualche distinzione tra partiti e governo sia salutare». Perché, «mentre stigmatizzo il comportamento di Salvini “di lotta e di governo”, io incoraggio il Pd a non dismettere la lealtà totale nei confronti del governo e a lavorare anche a una visione per il futuro. Noi siamo più omogenei all’esecutivo Draghi di quanto possa essere la Lega, ma non si può far coincidere il nostro progetto con questo governo».
Secondo Bindi, c’è bisogno «di una nuova proposta del centrosinistra, che risulti nettamente alternativa al centrodestra e questo non può farlo questo governo, condizionato dal percorso del Pnrr. Il Pd deve distinguersi sulle grandi sfide dell’immigrazione, della lotta alle disuguaglianze, dei beni comuni».
Un salto avanti sarebbe eleggere una donna al Colle. «Lo ripeto da anni fino alla noia», dice Bindi. «E trovo siano un’anomalia gli appelli in tal senso, dovrebbe essere normale prendere in considerazione questa ipotesi». Il problema è che se la politica è più indietro del Paese, «i partiti e il Parlamento sono ancora più arretrati», dice.
E Draghi? «Credo che dovrebbe fare il premier: è in quel ruolo che, dato il disegno istituzionale del nostro paese e dell’Europa, può diventare il nuovo punto di riferimento europeo nel dopo Merkel. Ne ha bisogno l’Italia e ne ha bisogno l’Europa. Sicuramente fino alla prossima scadenza elettorale, dopo chissà». Ma c’è un altro aspetto da considerare: «Il suo passaggio da Palazzo Chigi al Colle darebbe vita a una nuova prassi costituzionale che richiederebbe grande equilibrio. Sarebbe un passaggio inedito e non si deve rischiare di approdare a un semipresidenzialismo di fatto: quando sento dire da Giorgetti che Draghi guiderebbe il convoglio anche da lì, penso che ciò non debba accadere. La Costituzione formale non deve essere alterata dalla Costituzione materiale».
E a questo proposito Bindi racconta di essere stata «d’accordo con Berlusconi una volta sola, quando ha fatto saltare la riforma costituzionale che prevedeva il semipresidenzialismo alla francese. Credo vi sia più sapienza democratica nel nostro disegno costituzionale che in quello francese. Detto questo però, capirei un Parlamento che per non lacerarsi sull’elezione del presidente, finisse per trovare un accordo su Draghi, che sarebbe una soluzione alta».
E in vista delle elezioni politiche, Bindi crede che sia realizzabile il campo largo che vuole costruire Letta contro la destra. Ma solo «se si fa un’operazione politica e non elettorale. L’unico modo per vincere le elezioni è presentare agli italiani un programma alternativo alla destra coraggioso e chiaro. Il gioco dei veti incrociati tra i partiti si supera se si dà importanza alla visione e al programma, non sommando le sigle con operazioni algebriche». Anche perché, spiega, «dopo di me, credo sia il migliore conoscitore di Renzi. Rivendico il copyright per essere quella che non ha avuto nessun cedimento nei confronti del renzismo, ci sono incompatibilità politiche e culturali».
Sull’inchiesta Open, Bindi spiega «che ci trovavamo di fronte ad atteggiamenti estremamente disinvolti e che feci bene a votare contro l’abolizione del finanziameno pubblico dei partiti».