Che sia in un elegante flûte che favorisce lo scorrimento delle bollicine, in unʼampia coppa da champagne o nel classico calice a tulipano, brindare è il gesto più comune, ben augurante e liberatorio che ci sia, un vero e proprio rito scaramantico in grado di portare gioia e prosperità (si spera) in vista del nuovo anno, in qualunque parte del globo. Sebbene il bon ton sconsigli ogni forma di eccesso – leggasi niente bicchieri che si toccano e niente cin cin – nulla fa più festa di un rumoroso brindisi in compagnia.
Differentemente da ciò che si crede, cin cin non fa riferimento al suono onomatopeico del vetro o del cristallo che battono fra loro, ma è la storpiatura della parola cinese di cortesia chʼing chʼing, (letteralmente “prego prego”), un saluto scherzoso utilizzato dai marinai delle coste di Canton e adottato poi sulle navi inglesi nel XVIII secolo. Lʼespressione ebbe poi il suo momento di gloria (possiamo ora affermare con certezza, imperituro) anche grazie allʼoperetta in due atti La Geisha di Sidney Jones, rappresentata per la prima volta al Dailyʼs Theatre di Londra il 25 aprile nel 1896. Da lì lʼesclamazione venne privata del suo significato originale e divenne simbolo di festa e celebrazione.
Nota a latere: meglio evitarne lʼutilizzo in Giappone dove cin cin indica lʼorgano sessuale maschile, dunque, kanpai è l’unica scelta possibile. Ma attenzione, il brindisi nella terra del Sol Levante ha anche un suo preciso galateo: mai riempirsi il bicchiere da soli e mai bere tutto dʼun fiato, soprattutto se si tratta di sake, e, quando si alza il bicchiere, è necessario impugnarlo con una mano, mentre lʼaltra deve appoggiare le dita sotto la base, guardandosi negli occhi e facendo un inchino prima di sorseggiare.
Partiamo dalle origini. Far urtare i calici ha un significato parecchio lontano dallʼauspicio di salute e prosperità che tutti gli conferiamo oggi, lʼusanza risale infatti al VIII secolo a.C, nellʼantica Grecia, quando scontrare le coppe era il metodo più efficace di scongiurare il pericolo di avvelenamento durante i banchetti – una delle vie più semplici per eliminare un nemico – proprio per lʼalta probabilità di mischiare e mescolare il contenuto degli antesignani bicchieri. Si brindava però anche all’amicizia, tanto che i romani definivano bibere graeco more, bere alla greca, lʼatto di alzare i calici e, come narra Marziale, tante volte quante le lettere del nome della persona che si voleva onorare. Ovidio nella sua Ars Amandi descrive la consuetudine di dedicare il brindisi allʼamata, bevendo per primi dal calice per poi passarlo alla donna, ma intingendo il dito nel vino e scrivendo il suo nome sul tavolo. Nei secoli a venire, a partire dal Medioevo, soprattutto nei paesi nordici, si brindava invece in maniera rumorosa per scacciare i demoni e gli spiriti malvagi.
Ma veniamo allʼoggi. In Inghilterra si dice Cheers, parola che deriva dal latino cara e dal francese antico chier, volto o capo, utilizzata inizialmente per descrivere unʼespressione di melanconia, solo nel 18mo secolo ha assunto unʼaccezione positiva e ha cominciato a essere utilizzata per esprimere incoraggiamento durante il toast – il brindisi – così chiamato perché durante il Medioevo si accompagnava un pezzo di pane speziato al vino. Oggi si esclama Cheers un poʼ dovunque nelle terre di lingua anglosassone, ma se ci si sposta nella Repubblica di Irlanda la parola dʼordine è Slainte – ovvero “buona salute” – dall’aggettivo gaelico slán. Ciò che è importante sapere è che qui è sempre lʼospite a offrire la prima bottiglia di vino.
Nei paesi di origine germanica, Prosit è il brindisi che va per la maggiore, anche nella variante prost, un “che ti porti bene”, lascito dellʼinfluenza romana nel territorio. La parola Prost deriva infatti dal latino prosit traduzione di “che possa giovare”, mentre per le occasioni più formali si utilizza zum Wohl, “alla vostra salute”. Simile nella pronuncia lʼolandese Proost, che altro non significa che “evviva”. Ad ogni buon conto, che sia prost, prosit o proost lʼimportante è battere il bicchiere sul tavolo prima di berlo.
Dai cugini spagnoli Salud è il brindisi che va per la maggiore, con le varianti Salut della Catalogna e Saùde in Portogallo. I madrileni però usano lʼespressione Arriba, abajo, al centro y pa dentro, e in ogni caso il bicchiere si deve svuotare tutto dʼun fiato dopo averlo fatto toccare sul tavolo per tre volte. In Venezuela si dice Salute y que Dios te quite cioè “alla salute e che Dio si prenda cura di te”, mentre a Cuba la formula è Echale a eso che significa “buttalo fuori” (dal bicchiere).
I raffinati francesi dicono Salut, o, più formalmente, à votre santé ed è buona regola (in realtà ovunque) che le donne vengano servite per prime e che il bicchiere non sia riempito oltre la sua metà perché colmarlo fino allʼorlo è considerato volgare. I russi, dal canto loro, sono decisamente più rumorosi e la loro tradizione vuole che si scagli il bicchiere contro il muro gridando Vashe zrodovye o Tvoye zdorovye!, che non va confuso con na zdorovie, espressione utilizzata per il brindisi in Polonia, e che per i russi suona come il nostrano “buon pro ti faccia!” o “non c’è di che”, in risposta a un “grazie” detto da chi riceve una porzione di cibo, ma non certo come cin cin!
In Svezia ci si guarda rigorosamente negli occhi dicendo Skål, ovvero “coppa”, termine utilizzato anche in Danimarca, in alternativa allʼespressione Bunden i vejret eller resten i håret, che tradotta significa “dal basso verso lʼalto o ti resti nei capelli”, mentre in Finlandia esiste la variante Kippis. Una delle credenze più popolari è che Skål derivi dalla parola norrena per Skull – e che i Vichinghi celebrassero le loro vittorie di guerra bevendo dai teschi dei loro nemici sconfitti. In realtà Skål prende origine dalla parola norrena Skál, “ciotola”. Per coincidenza ha la stessa radice della parola norrena skalli, “testa calva”, che alla fine si è trasformata nella moderna parola inglese teschio.
Nei Balcani si dice Ziveli ovvero “Vivi/alla vita” mentre in Albania si esclama Gezuar, semplicemente “sono felice”. In Persiano Salamati – alla tua salute – e in turco Serefe. In afrikaans, la lingua parlata in Sud Africa, si dice Gesondheid, dall’antico olandese gesontheit, “alla tua salute”. Lo stesso vale per la Lituania dove si usa sveikata. In Moldavia non ci si limita a un unico brindisi, ma nellʼarco di una serata si arriva ad alzare i calici 20 o 30 volte pronunciando hai devai, “andiamo”. Ecco, lʼimportante è non mettersi alla guida poi. In Corea la parola dʼordine è Geonbae, ovvero “bicchieri vuoti”, ma non è necessario bere tutto in un sorso. In Grecia si dice Ya-mas, ovvero “salute”, mentre in Cina la formula è Gan Bei, un invito ad “asciugare” la coppa: gli uomini bevono il bicchiere tutto dʼun fiato, mentre le donne possono gustarne solo un sorso. Volando infine dallʼaltra parte del mondo, in Nuova Zelanda, è la lingua Maori ad essere utilizzata per i brindisi, con lʼespressione Kia ora – “stai bene”. Che dire, tutto il mondo è paese, no?