Nel giorno in cui entra in vigore la legge che (in recepimento della direttiva europea 2016/343) impone regole più stringenti alla comunicazione dei magistrati sulla colpevolezza degli imputati, il superprocuratore Antimafia e Antiterrorismo Federico Cafiero de Raho in un’intervista alla Stampa dice di essere «perfettamente d’accordo».
Il magistrato napoletano spiega: «Bisogna escludere dalle nostre comunicazioni qualunque indicazione che possa far apparire come colpevoli i soggetti coinvolti in un’indagine. Personalmente, l’ho sempre fatto a ogni conferenza stampa che ho tenuto. Ho sempre sottolineato che le responsabilità sarebbero state accertate in modo definitivo solo con le sentenze».
Qualche giorno fa, nell’aula magna della Cassazione, ospite di un convegno organizzato dalla corrente Unicost, de Raho ha detto che «coltivare il dubbio, deve fare parte della cultura del magistrato. Mai pensare che una persona, anche se nei suoi confronti è stata emessa una ordinanza di custodia, sia un colpevole». E ha aggiunto che «il decreto legislativo ha voluto richiamare l’attenzione di tutti sulle conseguenze di un’informazione che sia particolarmente “cattiva” nei confronti di coloro i quali vengono raggiunti da misura cautelare».
De Raho racconta alla Stampa: «Abbiamo assistito addirittura a suicidi di persone indagate, che si ritenevano del tutto innocenti. D’altra parte, sapere è un diritto del cittadino. È necessario dare diffusione della notizia di ordinanze cautelari. Ed è necessario che tutto questo avvenga in modo da conseguire la finalità prima delle informazioni, cioè dare al cittadino un senso di sicurezza e di protezione, di efficienza del sistema giudiziario. Aggiungo che in terre di mafia, serve anche mandare il messaggio che delinquere non conviene». Ma «nell’ambito della comunicazione va respinta l’immagine del magistrato quale depositario della morale collettiva. Al magistrato spetta solamente di applicare la legge; è questo il suo dovere, non fare il moralista».
Secondo il procuratore, «l’enfasi con cui certe indagini vengono rappresentate dalla stampa, rischia di diffondere nell’opinione pubblica la patologia del giustizialismo, la sollecitazione a una giustizia sommaria. Probabilmente anche la stampa dovrebbe trovare un maggiore temperamento. Ed è vero che si assiste a volte al protagonismo di alcuni circoli mediatici ai quali non sono estranei gli stessi magistrati, che tendono alla costruzione di verità alternative, mediante la propalazione di elementi non sottoposti a valutazione. Non è consentito al pubblico ministero, in prossimità della sentenza, sostenere una tesi che orienti il dispositivo, o che anche indirettamente lo condizioni, preparando la folla a una decisione che, se diversa da quella ipotizzata, venga interpretata come prodotto di timori del giudice o addirittura di condizionamenti».
Sulla riforma Cartabia che pone tempi inderogabili ai gradi del processo, il magistrato dice che «se alla nuova disciplina, come è stato detto e come peraltro il Pnrr prevede, si accompagneranno risorse sufficienti, quindi più personale e una completa digitalizzazione, i tempi dei processi dovrebbero abbassarsi e dovrebbero essere rispettati anche da quei distretti che dimostrano le maggiori criticità».
E alla vigilia della riforma del Csm, De Raho afferma che dal suo punto di vista «la modalità più lineare e più obiettiva per comporre il Consiglio sarebbe quella del sorteggio, che esclude la possibilità di interferenze da parte di chiunque. Mi è chiaro che il quadro porta in altra direzione: si vuole modificare la situazione, ma non nella direzione del sorteggio. Continuo a pensare, però, che il sorteggio corrisponda esattamente alla capacità del magistrato medio. Non mi scandalizzerei, anzi credo che sarebbe la modalità attraverso cui escludere qualunque eccessiva interferenza o condizionamento».
Una scelta radicale. «D’alto canto le valutazioni di professionalità a cui sono sottoposti i magistrati, sono tali che di per sé evidenziano una magistratura che risponde alle esigenze di specializzazione richieste anche nell’ambito del Csm». E «se anche se non fosse il mero sorteggio, almeno un sistema misto, con votazioni che portino a un numero ampio di eletti, tra i quali poi procedere a sorteggio, ci darebbe una rosa di personalità capace comunque di limitare interferenze o condizionamenti».