Bébé ChiracValerie Pécresse e l’impresa di resuscitare la destra moderata francese

La candidata dei Républicains si definisce «2/3 Merkel e 1/3 Thatcher». I sondaggi la danno al 10% e al momento finirebbe quarta al primo turno delle presidenziali

LaPresse

Calamity Jane alla fine c’è riuscita. Come la sua eroina, prima donna pistolero nel Far West, anche Valerie Pécresse ha finalmente infranto un tabù: è la prima donna candidata presidente per i Républicains. L’ex ministra di Nicolas Sarkozy ha ottenuto la nomination del partito superando al primo turno candidati più conosciuti, come Michel Barnier e Xavier Bertrand, e poi al ballottaggio il deputato nizzardo Éric Ciotti, fermatosi al 39 per cento delle preferenze contro il 60 della presidente della regione dell’Ile-de-France. «La destra è di ritorno: il mio sarà un progetto di franca rottura per restaurare la fierezza della Francia», ha dichiarato la candidata, che ha promesso di includere nel suo programma tutte le posizioni politiche espresse in queste primarie, comprese quelle più radicali in materia di immigrazione e famiglia. Presentare una lista di progetti simile, se non uguale, a quella dell’estrema destra potrebbe però non essere un grande biglietto da visita per chi si propone come diretta continuatrice dei presidenti Jacques Chirac e Sarkozy e sostiene di essere «2/3 Angela Merkel e 1/3 Margaret Thatcher». Così si rischia di essere soltanto 3/3 Marine Le Pen.

«L’Europa è un’Europa delle nazioni. Ciò significa che le nostre leggi costituzionali, la nostra identità costituzionale, ciascuna, ogni Stato sovrano, devono avere la precedenza sulla giurisdizione europea», ha dichiarato Pécresse durante la campagna per le primarie, sottolineando come il precedente polacco sia un dato importante per tutta Europa. I tempi sono evidentemente cambiati rispetto al 2000 quando, aprendo il semestre di presidenza francese dell’Europa, Jacques Chirac dichiarò solennemente «che era necessario rendere l’edificio europeo più accogliente per coloro che vi abitano e per coloro che vi vogliono entrare». La differenza pare evidente.

Non è solo questo a segnare una netta divisione politica tra Valerie Pécresse e il passato nobile del partito repubblicano francese. Un esempio è dato dall’immigrazione, tema sul quale gli ex gollisti si affannano ormai da tempo a inseguire Marine Le Pen e, adesso, anche Éric Zemmour. Sembra infatti decisamente distante dall’idea di una destra moderna l’idea di quote annuali di immigrati da accogliere stabilite dall’Assemblée Nationale, visto che «il fenomeno migratorio ha un legame con l’aumento della violenza e della delinquenza», come ha dichiarato nel primo dibattito delle primarie.

Secondo l’ex ministra dell’Istruzione di Sarkozy, le istituzioni francesi dovrebbero arrivare addirittura a presumere la maggiore età per qualunque minore non accompagnato che rifiuti l’esame osseo e a sottrarre l’assistenza sociale sia ai richiedenti asilo che ai beneficiari di ricongiungimento familiare sul territorio francese.

Si scrive Pécresse, si legge Le Pen: per questo pare difficile che Éric Ciotti, il repubblicano più vicino alle idee di Zemmour, possa non riconoscersi nel progetto politico della candidata dei Républicains, anche se ha dichiarato a Le Monde che Pécresse «non manda il giusto messaggio dicendo di non voler includere alcune mie proposte, come la fondazione di una Guantanamo francese». È attesa invece al varco per quanto riguarda il tema dei diritti: la candidata ha infatti più volte cambiato idea nel corso degli anni.

Partecipante alla Manif pour tous, la protesta contro il matrimonio omosessuale voluto da François Hollande, Pécresse da presidente dell’Ile-de-France ha poi più volte finanziato il Gay Pride. Se in passato aveva spesso criticato la legge Taubira sulla riproduzione e la fecondazione assistita, la candidata ha poi cambiato idea nel corso del tempo esprimendosi come favorevole. Una continua giravolta che ormai ha confuso e indispettito tutte le parti, rendendo poco credibili le sue affermazioni in materia. «Prometterà tutto e non manterrà niente, come il suo mentore Chirac» ha dichiarato Zemmour nel suo primo comizio a Villepinte. Un giudizio che pare sentenza.

E dire che Pécresse avrebbe tutto per prendere il posto di Macron, uno che, secondo lei, «ha la sola ossessione di piacere», e riuscire là dove sue illustri predecessori non sono riuscite. Classe 1967, studi presso l’HEC (Hautes Études Commerciales) di Parigi e l’ENA, Pécresse ha mostrato sin da ragazza tutta la sua voglia di arrivare in alto. Lo studio delle lingue lo dimostra: ha infatti imparato il russo a 15 anni nel campo estivo dei Pionieri, un’organizzazione giovanile comunista, a Yalta e ha perfezionato il giapponese durante un soggiorno a Tokyo, dove si manteneva vendendo videocamere e liquori.

«Lasciati andare per quello che sei, non hai più bisogno di un guscio. Presenta la tua vera te stessa ai Francesi e loro ti ameranno», le aveva detto Sarkozy al momento della consegna della Légion d’Onore nel 2019. Il guscio l’ha accompagnata durante un percorso sia politico che personale lunghissimo, fatto di successi ma anche di critiche e insulti sessisti (che lei stessa ha usato per prendersi un po’ in giro definendosi «la bionda»).

La sua carriera politica è iniziata nel 1998 quando, dopo un breve passaggio nel Consiglio di Stato, venne scelta da Jacques Chirac come consigliere per le novità tecnologiche. La bébé Chirac, come era soprannominata da Sarkozy, divenne deputato nel 2002 e ministro nel 2007 proprio con il nuovo leader dell’UMP, con cui si occupò prima di scuola e università e poi di bilancio. Da donna del fare, come ama definirsi, è stata sua la riforma dell’università del 2007, che difatti ha permesso allo Stato di svicolarsi dalla gestione di università troppo indebitate. Presidente dell’Ile-de-France dal 2015, Pécresse ha avuto nel corso degli ultimi anni un rapporto conflittuale con il partito.

Nel 2017, dopo la sconfitta nelle presidenziali, Pécresse, in disaccordo con la linea del presidente del partito Laurient Vauquiez, dichiarò di voler ridare al partito la sua tessera, «perché ormai non era più possibile portare avanti delle battaglie dall’interno», fondando un suo movimento chiamato “Soyons Libres”. Un partito destinato a essere funzionale alla causa, cioè alla scalata dei Repubblicani: per questo a inizio 2021 Pécresse aveva deciso di riprendere la tessera, intuendo come i tempi fossero ormai maturi.

Sfida ben diversa però l’attende ora. Secondo i sondaggi la candidata dei Repubblicani sarebbe accreditata soltanto del 10 per cento dei consensi: in questo modo finirebbe quarta al primo turno delle presidenziali, dietro il presidente Macron, Marine Le Pen e anche Éric Zemmour, con il sempiterno Jean-Luc Mélénchon, candidato della France Insoumise, in corsia di sorpasso al 9. «Questa è la battaglia della mia vita e con voi la vincerò, ha assicurato la candidata, sottolineando come «i sondaggi di dicembre non sono mai i risultati di aprile».

Per emergere dovrà evitare gli errori del 2016 quando François Fillon, candidato dei gollisti, riuscì a non portare la destra moderata al ballottaggio nonostante i favori del pronostico. La presenza di Patrick Stefanini, colui che aveva guidato la campagna dell’ex primo ministro nel 2016 così come quella di Chirac nel 2002, è una buona rassicurazione sul fatto che certe leggerezze non verranno più commesse visto che, rispetto a 5 anni fa, i Repubblicani non sono più i favoriti ma partono da outsider.

La battaglia non è semplice, viste le pressioni interne ed esterne che dovrà subire. «Vedremo se arriverà incolume ai festeggiamenti di fine anno», ha dichiarato sibillino un dirigente dei Républicains. A Calamity Jane serviranno molti proiettili per arrivare sino in fondo.  

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