La scrittrice e giornalista americana Joan Didion è morta, all’età di 87 anni, nella sua casa di Manhattan a New York. La causa del decesso, secondo quanto riporta il New York Times, sarebbe il morbo di Parkinson.
Didion fu una delle voci più autorevoli e interessanti della stagione del New Journalism. Tra i suoi libri più importanti si ricordano “Verso Betlemme”, del 1969 e “The White Album”, del 1979, raccolte di saggi con cui la scrittrice orienta il suo sguardo sul mondo della controcultura californiana e sulla vita a Hollywood nella vita post-studio. Nel 2005 vince il National Book Award per la saggista con “L’anno del pensiero magico”.
Nata in California, a Sacramento, nel 1934, si laureò a Berkeley nel 1956, con un Bachelor of Arts di Lettere. Come ricorda nel suo memoir del 2003, cominciò a scrivere dall’età di cinque anni, ma si definì scrittrice solo dopo l’uscita nel suo primo libro.
Il suo ingresso nel giornalismo avvenne dopo aver vinto un concorso di saggistica per la rivista Vogue. Ottenne così un posto nel giornale e divenne redattrice per la rivista. In quel periodo scrisse il suo primo romanzo, “Run, river” (1963), sul disfacimento di una famiglia californiana. Un libro ancora acerbo in cui però, a detta di critici come Michiko Kakutani, si scorgono già i temi che domineranno la prosa successiva: la violenza, l’angoscia, la sensazione che il mondo sia sempre meno sotto controllo. In quel periodo collaborava con Vogue, Mademoiselle e con la National Review. Sul lato giornalistico aderisce al filone del New Journalism, con cui l’esperienza di chi scrive diventa centrale, se non totale. Il risultato è appunto “Verso Betlemme”, dove raccoglie i suoi saggi sulla trasformazione del mondo californiano.
L’anno successivo si sposa con John Gregory Dunne, del Time. Si stabiliscono in California e cominciano a scrivere sceneggiature. Con questa terza esperienza la carriera di Joan Didion, che nel frattempo è diventata, insieme al marito, una coppia glam tra Hollywood e New York, diventa tripartita (insieme al giornalismo e alla scrittura di romanzi). Nel 1970 arriva il secondo, “Play It as It Lays”, che diventa un film con Anthony Perkins, cui segue “A Book of Common Prayer” sette anni dopo. Il secondo decennio è coronato con la raccolta “The White Album”.
Nel frattempo continua a fare sceneggiature e reportage: nel 1983 “Salvador” è un resoconto del disastro della guerra civile a El Salvador, nel 1987 “Miami” esplora, con tonalità forti, le relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti. Da qui comincia l’ennesima svolta della sua vita. Gli articoli diventano analisi e critica culturale, esaminano l’influenza dei media (in particolare della televisione) su alcuni eventi fondamentali della vita americana (come le elezioni americane e uno stupro a Central Park del 1989). Sono saggi che confluiscono in “After Henry” nel 1992 e, nel 2001, “Political Fictions”.
Nel 2003 muore il marito, due anni dopo la figlia Quintana Roo. Il resconto di questi due eventi tragici diventa “L’anno del pensiero magico”, il libro con cui vince il National Book Award. Sul tema della morte della figlia ritorna nel 2011, con “Blue Nights”.