A fine mese saranno fissate le nuove tariffe di luce e gas, ma si parla di aumenti del 50-60%, solo in parte calmierati dall’intervento del governo da 3,8 miliardi. E si sa già che serviranno altri fondi per far fronte al caro bollette. «Una situazione difficile», ammette il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani in un’intervista al Messaggero. «Ora anche l’Europa si sta muovendo. Finora eravamo tutti d’accordo per aspettare di valutare fino a che punto questa crisi fosse contingente. Ma la situazione è diventata più tesa del previsto e potrebbe durare anche nel 2023. Le prossime settimane saranno decisive».
L’Italia, continua il ministro, «è riuscita a diversificare le fonti di approvvigionamento. Ma ha un energy-mix davvero povero e ora paga le scelte sbagliate del passato. Abbiamo fatto una politica implosiva: nel 2000 producevamo 20 miliardi di metri cubi di gas, oggi ne produciamo solo 4,5, a fronte di un consumo pari a 72 miliardi di metri cubi. Importiamo tutto e quindi siamo vulnerabili».
Che fare, quindi? «Ci troviamo a dover potenziare le rinnovabili il più rapidamente possibile. Ma non si fa in due anni. Quindi, nei prossimi 12-18 mesi dobbiamo muoverci anche in altre direzioni. Come quella di aumentare la produzione di gas nazionale con giacimenti già aperti». Cingolani spiega che «potremmo aumentare di una quantità non esagerata. Magari raddoppiare i 4 miliardi di metri cubi attuali. Quindi rimane sempre una percentuale piccolina sui 72 che consumiamo. Ma si risparmia anche un po’ sull’Iva. Si possono poi fare degli accordi perché venga utilizzato per aziende nazionali a un prezzo con il ministero vigilante. Ma ci vuole del tempo».
Poi, aggiunge, «al Mite stiamo valutando per esempio la cartolarizzazione degli incentivi». Ovvero: «Aprire un mutuo e impegnarti a restituirlo nel tempo. C’è poi da valutare, appunto, il calcolo del costo dell’energia». Il problema, come ha spiegato Draghi, sono gli extra profitti delle società elettriche. Cingolani fa un esempio: «Se produco l’idroelettico con impianti che sgorgano dai fiumi e con impianti che sono stati costruiti 30 o 40 anni fa e sono già ammortizzati, questo tipo di energia potrebbe non essere agganciata per esempio al costo del gas del giorno prima. Si tratta di energia che non ha quel costo. È una piccola cosa: però va fatta una riflessione che tenga conto della tempesta energetica».
«Dobbiamo utilizzare tutte le frecce a nostra disposizione», ribadisce Cingolani. «Deve essere chiaro però che il problema non lo risolviamo con una sommatoria di piccoli interventi. Se la crisi non rientra in tempi ragionevoli ci vorrà una terapia da cavallo».
A livello europeo, invece, «ci sono sul tavolo diverse opzioni, a partire dalla defiscalizzazione, da negoziare ovviamente con la Commissione. In Europa si è parlato molto anche di come viene calcolato il prezzo dell’energia agganciata al gas. A gennaio dovrebbe esserci una interministeriale Ue sull’energia. Ogni Paese si sta facendo i conti».
Tra i temi più spinosi poi c’è la riforma del sistema Ets, i diritti a inquinare, che dovrebbe essere esteso a edifici e trasporti, finendo per pagare più caro il riscaldamento. «In questo momento sarebbe particolarmente duro. Vanno immaginati dei meccanismi di compensazione», dice il ministro. Stesso discorso per il phase out dei motori termici nuovi al 2035 nell’ambito del Fit for 55 destinato a avere impatti devastanti sul settore auto. «Non vuol dire che spariscono i motori, perché dureranno per almeno altri 15 anni», spiega il ministro. «Anche qui però, vanno messi in conto degli incentivi per la riconversione degli stabilimenti. Cambia l’intero modello di business delle auto».
L’Italia, intanto, sulla transizione ecologica si gioca tutto sul Pnrr, cruciale per le rinnovabili. Il Mite ha in mano 35 miliardi del piano. La supercommissione per velocizzare le autorizzazioni arriverà nei prossimi giorni, assicura il ministro. E sulla realizzazione dei progetti monitorerà «un dipartimento nuovo guidato da Paolo D’Aprile da gennaio: a regime saranno 70-80 persone».