Non sarà un singolo progetto mastodontico come la Nuova via della seta, ma piuttosto una rete globale e capillare di infrastrutture che favoriranno la connessione tra l’Europa e il resto del mondo: la Commissione europea ha presentato il suo Global Gateway, una strategia da 300 miliardi di euro complessivi entro il 2027 per sviluppare «canali di comunicazione» in diverse zone di Asia, Africa e America latina. I Paesi coinvolti sarebbero meno dipendenti dagli investimenti da parte del governo cinese, mentre per gli Stati europei il vantaggio concreto si misurerebbe in termini di afflusso di determinate materie prime e da migliori relazioni commerciali.
Il piano copre una vasta gamma di iniziative, dalle ferrovie ai cavi in fibra ottica. Non si tratta solo di elementi «fisici»: come spiega la Commissione, almeno il 10% dei finanziamenti riguarderanno infrastrutture digitali, che saranno utilizzate per la trasmissione, la gestione e lo stoccaggio di dati o per lo sviluppo di tecnologie proprie dell’intelligenza artificiale. I settori di investimento saranno molti, ma con cinque priorità ben precise: il digitale, con la fornitura di una rete internet sicura; la salute con la costituzione di filiere dei medicinali e la produzione locale di vaccini; i trasporti, in modalità rispettose dell’ambiente; l’educazione e la ricerca, con un focus sui programmi per le donne e i gruppi più vulnerabili, e tutte le iniziative legate all’energia e alla transizione ecologica.
Uno degli asset fondamentali di questa strategia è infatti l’approvvigionamento di idrogeno, fonte energetica chiave per lo sviluppo del Green Deal europeo. Come specificato a Linkiesta da fonti della Commissione, un Paese promettente in questo senso è il Cile, che si affianca a quelli dell’Africa mediterranea e subsahariana, con i quali l’Ue vuole intensificare i traffici commerciali.
Al momento, però, non c’è nessun dettaglio specifico. I singoli progetti da finanziare saranno decisi da un comitato ad hoc, e vincolati a una doppia condizionalità: quella ambientale, che esclude ogni investimento sui combustibili fossili, e quella legata al rispetto dei diritti umani. Ogni Stato che ospita un’iniziativa deve essere in linea con i valori europei: in caso di violazioni, sarà possibile bloccare le linee di credito, anche sospendendo progetti già avviati.
L’architettura finanziaria del Global Gateway è particolarmente complicata. Dei 300 miliardi annunciati, solo 18 saranno sovvenzioni dirette provenienti da programmi comunitari dedicati all’azione esterna. 145 miliardi arriveranno dalle banche di investimento dei Paesi membri e dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Ebrd).
I circa 135 miliardi restanti sono invece investimenti che la Commissione spera di generare dal settore privato: quelli in settori come le infrastrutture green e l’energia rinnovabile saranno coperti dalla garanzia del Fondo europeo per lo sviluppo sostenibile (Efsd), in collaborazione con la Banca europea per gli investimenti (Eib). Allo sforzo economico, quindi, partecipa tutto il cosiddetto Team Europe: l’Ue, gli Stati Membri e gli istituti di credito comunitari (Eib ed Ebrd). Questo maxi-pacchetto di investimenti si somma ai 9,6 miliardi di euro già spesi dall’Unione in progetti di connettività a livello mondiale tra il 2014 e il 2020: una somma ingente, equivalente al 14% del budget dell’Ue per le relazioni esterne.
Non c’è dubbio che il Global Gateway sia una risposta europea alla Belt and Road Initiative, la grande rete di collegamenti marittimi e terrestri che il governo cinese sta costruendo tra Asia, Africa ed Europa, ribattezzata Nuova via della seta. Non a caso, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha citato il dialogo con il presidente statunitense Joe Biden al momento della presentazione, affermando che un’iniziativa del genere necessita sintonia politica con chi condivide gli stessi valori dell’Ue. Ne è sfuggito il riferimento al programma del G7 Build Back Better World, fortemente voluto dall’amministrazione Usa per contrastare l’espansionismo cinese.
Il piano strategico europeo è una sorta di «alternativa democratica alla Belt and Road Initiative, perché secondo la Commissione punta a fornire supporto finanziario ai Paesi in via di sviluppo, senza doverli necessariamente relegare in una posizione subalterna rispetto ai propri interessi economici. Insieme a investimenti cospicui si offriranno loro condizioni commerciali non svantaggiose e un ambiente accogliente per le imprese locali. «La differenza è che noi non vogliamo lasciarci dietro le spalle una scia di problemi sociali, come quelli provocati dalla Cina in Africa», afferma a Linkiesta Anna Cinzia Bonfrisco, eurodeputata della Lega, molto attiva sui temi che riguardano le ingerenze del governo di Pechino.
Secondo la deputata, l’aspetto cruciale di questa iniziativa è la costruzione di una rete di dati sicura in condivisione tra l’Europa e altri Paesi nel mondo, che sia «libera da minacce o condizionamenti e affidabile per i cittadini». Proprio sulla supremazia nel campo digitale si gioca a suo parere la partita tra la Cina e l’Ue. «I dati costituiscono un patrimonio immateriale di grande valore ed è fondamentale tenerli al sicuro. Dobbiamo unire le forze con quei Paesi che condividono i nostri stessi valori. Ce ne sono anche in Asia: Giappone, Corea del Sud, Taiwan».
I progetti infrastrutturali finanziati con soldi europei dovrebbero così aiutare a promuovere anche le cosiddette best practices europee, come l’accesso sicuro a internet e la libera competizione, un punto chiave anche per Bonfrisco. «Nei nostri rapporti con la Cina, è necessario chiarire due aspetti: il rifiuto di ogni forma di autoritarismo, che va considerato come una minaccia, e la volontà di contrastare la concorrenza sleale». Al resto del mondo, nei prossimi anni, la scelta.