Negli ultimi giorni del 2021 è rimbalzata sulla stampa la notizia economica dell’anno, per la Champagne: la fusione tra il Centre Vinicole – Champagne Nicolas Feuillatte e la Coopérative Régionale des Vins de Champagne (CRVC), o forse è meglio dire l’assorbimento della seconda ad opera del primo. Lontana dalle immagini patinate che evoca una flûte del più celebrato spumante del mondo, questa mastodontica operazione dà il senso delle proporzioni che assume in Champagne l’economia vitivinicola.
Preso nel suo insieme, lo champagne rappresenta 30mila posti di lavoro diretti (più l’indotto), la prima denominazione d’origine del pianeta, il 20% delle esportazioni francesi di vino, un giro d’affari da oltre 4 miliardi di euro l’anno, con in media più di 300 milioni di bottiglie spedite annualmente nel mondo intero. Insomma: la Champagne e lo champagne sono economia, almeno tanto quanto immagine, storia e blasone.
La concentrazione come risposta
Il nuovo gruppo nato da Feuillatte e CRVC, denominato Terroirs & Vignerons de Champagne, diventa operativo il 31 dicembre 2021 e crea un gigante con circa 6.000 soci conferitori, 3.000 ettari di vigneto (circa il 9% di tutta la regione), un potenziale di oltre 24 milioni di bottiglie annue, e l’ambizione di infrangere il muro dei 300 milioni di euro di giro d’affari.
Questa operazione va nel senso della concentrazione economica progettata per ristrutturare il settore cooperativo della vitivinicoltura champenoise, con l’obiettivo evidente e dichiarato di far concorrenza alle grandi maisons de négoce. Le maisons sono da sempre il motore dell’economia locale, e negli ultimi anni hanno visto accentuarsi ulteriormente la loro primazia: 72,7% delle vendite complessive nel 2020, a fronte del già elevato 69% di dieci anni fa. Le caves coopératives – ossia le cantine sociali, realtà storica di tutto rilievo nel Novecento e nel nuovo millennio –, sono invece in una fase di contrazione, o quanto meno di stagnazione, sin dalla crisi del 2008. La loro quota di mercato oscilla attorno al 9% del totale, ma in Francia, tradizionale sfera d’azione delle coop, hanno perso 40 milioni di bottiglie vendute.
La forza delle maisons
Questo scenario articolato riflette una struttura socio-economica-produttiva molto solida, peculiare e altrettanto complessa, che da oltre due secoli regge le sorti della più sfavillante regione viticola del globo.
L’assunto di base è che in Champagne chi fa il vino spesso non è né il proprietario dei vigneti né l’agricoltore che li coltiva. Tradizionalmente il viticoltore vende le uve a un soggetto terzo, che le vinifica e poi s’incarica della commercializzazione. È così almeno dal primo Ottocento. Questo sistema, sorretto da una notevole disponibilità di capitali un tempo di origine aristocratico-borghese e oggi industrial-finanziaria, ha dato lustro a marchi noti nel mondo intero: Moët & Chandon, Veuve Clicquot, Mumm, Pommery, Krug…
Nate come imprese famigliari, le maisons de négoce sono oggi società ormai sovente quotate in borsa: MHCS (la parte champenoise del gruppo Louis Vuitton Moët Hennessy – LVMH) è una realtà da 1,3 miliardi di euro l’anno, 2.300 dipendenti, decine di milioni di bottiglie vendute in tutto il mondo, ma “solo” 1.600 ettari di vigna.
L’alternativa cooperativa
Attorno al 1900 sorge una soluzione alternativa al dominio pressoché incontrastato del négoce: il modello cooperativistico, pensato come arma di difesa dei vignaioli allo strapotere delle grandi case, che imponevano prezzi e condizioni di lavoro. Alcuni viticoltori si federano, creando società capaci di provvedere alla vinificazione e alla vendita. I vignaioli coltivano i vigneti, poi conferiscono le loro uve alla cantina sociale, che le miscela con quelle degli altri soci, produce il vino e lo propone sul mercato usando uno o più marchi di sua proprietà. I due marchi storici delle realtà che si sono appena fuse sono Castelnau e Nicolas Feuillatte, tradizionalmente forti sul mercato nazionale.
La cooperazione oggi rappresenta in Champagne circa 14.000 soci, con 13.580 ettari, 132 cantine sociali, 1 miliardo di euro di giro d’affari, un migliaio di dipendenti, oltre 50 milioni di bottiglie l’anno.
Le sigle sulle etichette
Il sistema economico della denominazione Champagne prevede che ogni bottiglia immessa sul mercato riporti obbligatoriamente una sigla di due lettere che indica lo status legale dell’operatore. Questa sigla è normalmente riportata in piccolo sul bordo dell’etichetta o della retro-etichetta. I possibili casi sono sette: NM, RM, CM, RC, MA, SR e ND. Gli ultimi due sono rari e poco rilevanti. I primi cinque ci dicono invece che:
NM sta per négociant-manipulant, ed è lo status giuridico tipico delle maisons. Questi operatori possiedono in genere solo una parte delle vigne (oppure non ne hanno affatto), acquistano le uve dai viticoltori, producono il vino e lo vendono. Sono classicamente gli champagne più noti al grande pubblico e reperibili nella GDO.
RM significa récoltant-manipulant. Si tratta di un vignaiolo indipendente, che coltiva vigneti di proprietà o in locazione, ne vinifica le uve e vende il proprio vino. Insomma: fa tutto in proprio. I récoltants rappresentano oggi circa il 18-19% delle vendite totali, ma la categoria sta arretrando. Sono oggi al centro di un equivoco, perché da alcuni anni incarnano il “piccolo è bello” della Champagne, la qualità a dimensione artigianale; questo è vero per una minoranza di essi, ma la maggior parte dei RM lavora con un approccio agroindustriale.
CM indica la coopérative de manipulation, quella di Terroirs & Vignerons de Champagne. È una società che raccoglie le uve dei propri soci, le vinifica e le vende con marchi propri. Può anche vendere vini ai NM o alle MA.
RC vuol dire récoltant-coopérateur. È un viticoltore che conferisce le uve a una struttura cooperativa, la quale le vinifica per lui e gli rende una quota di vino proporzionale alle uve cedute. Il vino però è una miscela delle uve anche di altri RC, quindi benché l’etichetta dello champagne riporti il nome del RC, non si tratta, in senso stretto, del suo champagne.
MA designa la marque d’acheteur o marque auxiliare: non è altro che il marchio commerciale di un soggetto (un grande hotel, una raffinata gastronomia, una catena di GDO…) che acquista da un produttore dello champagne finito e lo vende sotto il proprio nome.
Per finire, una piccola avvertenza: non sempre la sigla è fedelmente eloquente, in quanto il sistema è parzialmente flessibile e può accadere che un NM, un ND o anche una MA lo siano solo formalmente ma di fatto lavorino come un RM; oppure che un RC ottenga dalla cooperativa l’isolamento delle proprie uve, garantendo così la paternità del vino. Alcuni RM, poi, hanno anche una seconda società di produzione che segue le modalità operative nel NM.