Occhio all’inflazione, perché «i rischi non sono solo verso l’alto». Ma per l’attuazione del Pnrr in Italia c’è una «una certa dose ottimismo» perché il Paese «ha le capacità di essere rapido ed efficiente in tutti i campi, per raggiungere una capacità di crescita dell’economia tale da più che compensare l’aumento del debito e ridurre le tensioni sociali».
Il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, in un’intervista alla Stampa, spiega perché la politica monetaria della Banca centrale resterà ancorata alla continuità. E persino il rischio di instabilità politica legato alla corsa al Quirinale non sembra essere allarmante, sempre che le forze politiche comprendano l’importanza degli impegni di rilancio presi e «sappiano guardare oltre il brevissimo periodo».
Inflazione
La previsione di Visco sull’inflazione galoppante in Europa è che «dopo aumenti medi del 3% l’anno prossimo, ma in progressiva decelerazione, poi avremo prezzi che cresceranno poco al di sotto del 2 per cento, quindi prossimi al nostro obiettivo».
Da parte della Bce, «ci sarà una riduzione del ritmo degli acquisti di titoli nel corso del 2022, che però non si interromperanno prima della fine dell’anno; quindi, il cosiddetto “tapering” non verrà concluso prima del 2023 e si continueranno a mantenere condizioni di finanziamento dell’economia molto favorevoli. Abbiamo anche affermato che l’aumento dei tassi ufficiali, che peraltro sono negativi, avverrà successivamente. Il motivo è legato proprio alle nostre previsioni d’inflazione e ai fattori che noi riteniamo prevarranno nei prossimi anni».
Certo, ammette, c’è divergenza nel Consiglio direttivo della Bce. «Le previsioni secondo cui si scenderà al di sotto del 2% nel biennio 2023-24 sono ovviamente soggette a rischi sia verso il basso sia verso l’alto. Secondo alcuni dei miei colleghi questi ultimi potrebbero essere prevalenti», spiega. «Ma occorre ragionare su almeno due dei fattori sottostanti: uno energetico, l’altro legato ai margini delle imprese e all’aumento delle retribuzioni. Ora, su queste ultime, abbiamo un’ipotesi di crescita del 3% ogni anno per i prossimi tre anni. Ricordiamoci che negli Stati Uniti le retribuzioni stanno salendo del 4% e in Europa siamo sotto al 2%, come peraltro è successo per i vent’anni passati».
E sul fronte dell’energia, «sui prezzi del petrolio, i futures indicano che sono ancora elevati, ma già in discesa rispetto ai massimi di novembre». Il gas, invece, «è una questione diversa, perché c’è una componente geopolitica molto importante. Gli elevati livelli dei prezzi dell’energia fossile non possono essere compensati attraverso una riduzione per tutti, perché siamo in una fase di transizione ecologica ed energetica. Andare verso le fonti rinnovabili può comportare un aumento dei prezzi relativi. I costi eccessivi per alcune categorie, o per alcune aree dell’Eurozona, possono essere compensati con misure di carattere fiscale. Il Consiglio direttivo della Bce si dovrà interrogare a fondo sul rapporto fra prezzi relativi e inflazione assoluta».
In questo momento, però, «non si vedono effetti di secondo impatto dai prezzi dell’energia, cui soprattutto si deve l’aumento dell’inflazione, a salari e margini, quindi resto sostanzialmente tranquillo. Io penso che i rischi siano bilanciati e non asimmetrici verso l’alto. In ogni caso, siamo tutti straordinariamente attenti a verificare mese per mese quali sono, come si muovono le determinanti dell’inflazione: mercato del lavoro, domanda, salari».
Ma, specifica Visco, «non trovo alcun motivo per rivedere l’obiettivo (del 2%, ndr), al quale si è giunti quest’anno dopo una prolungata discussione nell’ambito del Consiglio direttivo. L’indicazione precedente, che era un obiettivo di un’inflazione inferiore ma prossima al 2%, creava incertezza. Per alcuni segnalava una propensione della Bce ad accettare con maggiore facilità un’inflazione al di sotto che non un’inflazione al di sopra del 2%. Questo non aveva senso. Un obiettivo simmetrico contribuirà a mantenere bene ancorate le aspettative d’inflazione nel medio e lungo periodo».
Riformare il Patto di Stabilità
Altro fronte caldo in Europa è la discussione sulla riforma del Patto di stabilità dell’Eurozona, congelato per affrontare il Covid. «Il punto fermo è che la sostenibilità delle finanze pubbliche in Europa e nei singoli Paesi è essenziale», dice Visco. «Dobbiamo capire che siamo in un’unione monetaria senza essere in uno Stato federale: i singoli Stati restano responsabili per i propri bilanci ma non si deve mettere a rischio la stabilità complessiva». Ma non ha senso rivedere i vincoli. Piuttosto, dice, «ha senso avere regole di riferimento e che – in determinate circostanze – possano essere discrezionalmente riviste. Non esiste il pilota automatico per risolvere problemi di sostenibilità, o di coerenza, fra i diversi obiettivi di bilancio dei Paesi di un’unione monetaria. Ma non si può non sottolineare che nel nostro caso essa ha un grave difetto: manca di una politica di bilancio comune. Non solo. Manca anche la capacità di dirigere dal centro interventi che sono di interesse per tutta la comunità. Lo sapevamo già all’inizio dell’unione monetaria. È una correzione da cui non si può prescindere».
Cosa serve, quindi? «Due cose», risponde. «Da un lato, uno strumento di stabilizzazione analogo a quello messo in atto nell’emergenza pandemica. Dall’altro, una capacità di rivedere le norme e le regole del gioco alla bisogna, e qui forse occorre passare per i Trattati. Sarebbe utile una entità di finanza pubblica a livello centrale. Un Ministro, se vogliamo, dell’economia pubblica dell’Eurozona, se non della Ue, in grado di essere la controparte della politica monetaria unica».
La crescita e la pandemia
Le previsioni di Bankitalia per l’Italia promettono buona crescita per il 2022. Tuttavia, se il Pnrr non sarà ben attuato, e se il Covid non si fermerà, andrà peggio. «I primi rischi in realtà sono quelli che la pandemia può far emergere, specie se la diffusione del virus fosse tale da tornare a limitare la mobilità sino a condizionare la fiducia delle imprese e dei consumatori», dice Visco. «È difficile avere idee precise, nessuno di noi sa come andrà a finire questa storia di Omicron. Per questo le nostre proiezioni sono caute dal lato pandemia. Ma contengono una certa dose di ottimismo nell’attuazione del Pnrr». Secondo il governatore, «vista la situazione di depressione così lunga della produttività dell’Italia, pensiamo che questo piano possa far salire il Pil di un paio di punti percentuali già nei prossimi due anni. A una condizione: che ci sia un modo efficiente e rapido di spendere. Sarebbe una vera novità per il Paese».
Ignazio Visco è ottimista. «Sono stato colpito negli ultimi mesi da alcune manifestazioni della capacità di aggiustamento dell’amministrazione pubblica», spiega. «Tutti noi adesso abbiamo un Green Pass, facciamo un vaccino o un tampone, e nel giro di poche ore ci arriva il certificato digitale! E noi lo mostriamo, e viene letto immediatamente. Abbiamo le capacità di essere rapidi ed efficienti in tutti i campi, per raggiungere una capacità di crescita dell’economia tale da più che compensare l’aumento del debito e ridurre le tensioni sociali».
Il Quirinale, le elezioni e la politica
«L’instabilità politica è un concetto complesso. Siamo in un sistema democratico e i due appuntamenti che ci attendono sono parte del normale corso della democrazia», dice Visco. «Abbiamo subito gli effetti dell’instabilità politica sui mercati solo in un momento nel quale c’era confusione anche a livello europeo. Ce n’è di meno adesso. Si è visto il passaggio di consegne molto semplice in Germania, nonostante il cambiamento epocale. Vedremo la Francia. L’Italia non è diversa dagli altri».
Ma a una «condizione cruciale», spiega il governatore. E cioè che «tutte le forze politiche devono comprendere che gli impegni presi sono importanti e contribuiscono a rafforzare la capacità di resistenza e di rilancio dell’economia dopo quasi 30 anni di ristagno della produttività. Per questo devono saper guardare oltre il brevissimo periodo. Ciò implica che bisogna impegnarsi per uscire da una situazione di forte ritardo sul piano tecnologico e imparare a innovare. Ci sono obiettivi da condividere indipendentemente dagli orientamenti delle forze politiche. Loro devono convincere gli elettori della propria capacità di conseguire questi obiettivi, non del loro intento di rivederli. Sono cose che vanno al di là delle scadenze elettorali».
Prosegue: «È meglio mirare a conquistare voti non proponendo di ridurre le tasse a tutti i costi, ma spendendo meglio, evitando le spese cattive, come dice il presidente del Consiglio quando parla di debito buono e debito cattivo. In realtà, non basta parlare di debito buono, perché tutti diranno che il loro è buono. Non è così. Il debito buono è quello che si collega con un piano di ripresa, con le infrastrutture essenziali e verdi, con gli investimenti nel digitale, e via dicendo. Non è un problema di stabilità politica, ma di obiettivi».
Ma «non vuol dire che la politica debba essere assente. Non c’è stata supplenza al ruolo della politica, il confronto è stato continuo. Credo che non si debba tornare alle pratiche di tutti questi emendamenti al bilancio pubblico volte ad aggiungere nuove spese, qui o là. La spesa è una questione di qualità e bisogna essere capaci di tagliare laddove, alla fine, fra costi e benefici ci sia una prevalenza dei primi. È questo l’esercizio cruciale che dobbiamo essere in grado di comunicare». Visco insiste: «Bisogna capire che se questa è la via, non c’è da aver timore di posizioni avverse da parte dei mercati. Spesso si sente dire che è colpa dei mercati se dobbiamo compiere scelte anche gravose. Non è così. Chi opera sul mercato cerca di investire il risparmio raccolto e vuole avere la garanzia che la scelta sia produttiva e renda».