La società incellophanataL’infermiera di Biella, il braccio di silicone e il no vax porn assicurato

Dopo un anno e mezzo di giornali monotematici sulla pandemia abbiamo così bisogno di variazioni che siamo disposti a credere a tutto. Pure a due medici che costringono una addetta alle somministrazioni a ingigantire per i media una semplice storia: uno poco sveglio si è impacchettato una parte del corpo per non ricevere la dose

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Chissà cosa farebbe Joyce Maynard di Filippa Bua, che incarna l’inizio e la fine della società dello spettacolo.

Joyce Maynard è una scrittrice americana. Chi ama l’orrore la ricorda perché da ragazza ebbe una relazione con J.D. Salinger, e poi ne mise all’asta le lettere e scrisse, a proposito della loro storia, roba rancorosa – quando ancora questi comportamenti facevano di te una bisbetica e non un’eroina del neofemminismo. Chi ama le meraviglie la ricorda per Da morire, il romanzo degli anni Novanta – poi diventato film di Gus Van Sant – in cui appare quel personaggio vertiginoso che è Suzanne Maretto, la donna disposta a tutto pur di diventare famosa, la giornalista che c’insegna che «non sei nessuno, in America, se non sei in televisione».

Filippa Bua è l’infermiera di Biella che avrebbe rifiutato il vaccino a un tizio che si è presentato «con un braccio di silicone», scrivono i giornali, apparentemente non turbati dall’inverosimiglianza della dinamica. Il tizio è una variazione fantasiosa del cliché del picchiatello antivaccinaro, e dopo un anno e mezzo di giornali monotematici sulla pandemia abbiamo così bisogno di variazioni che siamo disposti a credere a tutto (sì: persino più del solito), anche a un braccio di silicone. Dopotutto abbiamo quasi tutti fatto il Dams, e abbiamo imparato da Guy Debord (o da Freccero, che è una sua variazione antivaccinara) che la realtà sorge nello spettacolo, e lo spettacolo è reale.

I due minuti d’intervista a Filippa Bua che ieri stavano sul sito del Corriere mi hanno fatto pensare a come si potrebbe riscrivere Suzanne Maretto oggi. Oggi che la tv non conta più niente: oggi che non sei nessuno se non sei virale. Oggi che quell’ambizione e quella spietatezza nessun produttore te li farebbe passare, devi umanizzarla, devi darle una madre anziana cui badare, un dolore d’infanzia, un trauma primario. Oppure farla vittima delle circostanze. Ecco, forse così Filippa Bua funziona. Come vittima d’un qualcosa, magari dei due tizi al centro dell’inquadratura (dirigenti dell’ospedale?), i Grandi Suggeritori che le imboccano risposte alle domande dei giornalisti.

Lei racconta che il tizio aveva un busto teatrale di silicone: «Crede che io abbia questi pettorali», pare abbia detto allorché scoperto. Mi piace immaginarlo col tono con cui Cuticchia Cesare dice a Benvenuti Sergio «T’ho raccontato un sacco di fregnacce»: è una citazione di Borotalco, quando i comici romani facevano film che non credevano fossero dialogati in italiano.

Nessuno le chiede – giacché è maleducato interrompere un’emozione, e maleducatissimo mettere in dubbio la realtà che sorge nello spettacolo – quanto fosse spesso questo silicone. Mezzo centimetro? Cinque centimetri? Quanto dovrebbe essere spesso per riuscire a impedire all’ago d’arrivare alla carne? Quanto per vestircisi sopra?

I giornalisti le chiedono a che ora fosse arrivato il tizio, se ci fosse molta gente, confusione, sognano che lei dica per poco non ci ha fregato, fossimo stati di fretta avremmo mandato in giro uno che s’era vaccinato il costume di scena, e la Suzanne Maretto che ci possiamo permettere dice «era una giornata…» e poi cerca l’aggettivo, e i due suggeritori s’intromettono con lo zelo di chi pensa di capire come vada a finire la barzelletta e interrompe a casaccio. «Intensa». Lei non vuol dire ma cosa cazzo dite, e quindi dice sì, «emotivamente intensa», ma non è che ci fosse tanta gente.

«Non credevo», dice Filippa Suzanne, sorpresa dell’investitura a eroina del giorno, e i due al centro la rassicurano, «è stata bravissima», e poi procedono a tradurre una domanda che non abbiamo sentito, o che forse non è mai stata fatta, forse sono i Boncompagni che inventano un nuovo diavolo che sta con Occhetto e lei non è più Suzanne ma Ambra, fatto sta che dicono «Giustamente loro chiedono, alla fine, oltre che irrispettoso, inqualificabile, vi ha fatto anche perdere tempo», e lo dicono senza mettersi a ridere, mentre s’attardano in una conferenza stampa che non può aver portato via meno d’un’ora per narrare dei trenta secondi in cui un pirla s’è presentato coperto di domopak a farsi vaccinare.

«Siete rimasti quasi scioccati, lì per lì quasi increduli», suggeriscono i Grandi Suggeritori, e Filippa Suzanne ha la mascherina come tutti, quindi non si vede se faccia smorfie, ma si percepisce la sua insofferenza, la sua idea che forse sarebbe meglio tornare a lavorare e smetterla di perdere tempo con questa stronzata, ma è l’unica a pensarla così. I due tizi gongolano, e i giornalisti più di loro: anche per oggi le prime pagine sono assicurate, anche per oggi non ci tocca farci venire un’idea, anche per oggi quello che una mia amica saggia chiama il «no vax porn» è assicurato, per grandi e piccini.

Ed è allora che capisco d’aver sbagliato il casting. Scusami, Filippa: sei scartata. Suzanne sono loro. Sono quei due che credono che «la tv è il posto che ci dice chi siamo». La tv, o i video socializzabili che hanno preso il suo posto. Sono loro che sanno che «che senso ha fare qualcosa di buono se nessuno ti guarda?». Loro sanno, come Suzanne, che Gorbaciov sarebbe ancora al potere se si fosse tolto quella cosa viola dalla fronte: loro la società della spettacolo la conoscono. Sei solo tu, povera ingenua, che puoi pensare di passare le giornate a fare punture a picchiatelli d’ogni categoria, quando si possono indire conferenze stampa e perdere tempo a farsi tronfi d’essere quelli intelligenti. Cioè: quelli più intelligenti di uno che si presenta incellophanato.

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