Benvenuti al Sud Brevi cenni sull’universo della cucina calabrese

Volete preparare un pranzo o una cena che abbia il sapore e l’atmosfera della Calabria? Siate generosi nelle quantità, scegliete ingredienti di qualità e affidatevi come noi ai consigli di Lidia Baratta

«Abbondanza». La parola, singola, che per Lidia Baratta meglio descrive un pranzo nella sua Calabria è tanto semplice quanto evocativa. Nata a Cosenza (ma da tempo adottata da Milano), la giornalista di Linkiesta, esperta di lavoro ed economia, racconta il colpo d’occhio di una tavola imbandita: «è una tavola piena, dove tantissime cose sono già disposte. E sempre ci sono conserve, cose che sono state messe da parte e a cui si è lavorato in precedenza: le melanzane sottolio non mancano mai, ma anche altri sottoli e verdure sotto sale, c’è sempre qualcosa di nuovo, una volta le cime di rapa, una volta i lampascioni. Le conserve sono un simbolo nella nostra tradizione gastronomica: sono un modo per mettersi al riparo dalla paura della fame. E quando torno giù so che i pranzi saranno lunghi e abbondanti».

L’antipasto, dunque, è già in tavola ad aspettare i commensali: oltre alle conserve non mancano mai i salumi, la soppressata, la salsiccia di fegato, e la ‘nduja, ormai celebre e celebrata in tutta Italia, e ancora i formaggi, il Pecorino Crotonese, il Caciocavallo Silano; e poi le conserve di pesce, come la rosamarina, piccante composto di pesci neonati: «nel Crotonese è più cremosa – spiega Baratta – mentre in quella fatta nel Cosentino si sentono di più i pesciolini. La gustiamo in accostamenti forti, abbinata anche al formaggio. E poi in tavola c’è sempre il pane, ne producono un’infinità di tipologie, dalla pitta tonda, con il buco, al “pane di frasca”, uno dei più caratteristici, chiamato così perché lo cuociono con rami variegati nel forno a legna; quello originale è di Falconara Albese, ma lo producono anche in altre località, con il nome di “pane brutto”».

E se non c’è il pane, nel periodo natalizio (ma non si disegnano anche in altri periodi), un pezzo forte sono i cudduriaddri, o cullurielli, a seconda della provenienza di chi pronuncia la parola. «Ciambelle fritte salate fatte con farina, patate e lievito, di cui è prevista anche la variante con le acciughe, che prende il nome di vecchiareddra. Un vero rito della provincia di Cosenza, che alla vigilia dell’Immacolata, il 7 dicembre, inaugura il periodo di festività natalizie. E se, miracolosamente, ne avanza qualcuno, il giorno dopo si ricoprono di zucchero e si mangiano pure come dolce».

Certo, quando si è lontani dalla Calabria, ricreare tanta abbondanza non è facilissimo. Un kit confezionato e pensato con amore vero per il territorio può essere un aiuto concreto. Un vero compendio della terra di Calabria è la box di Callipo Tonnazzo che racchiude specialità come il tonno sottolio, da solo o in abbinamento ad altri ingredienti tipici, dalla cipolla di Tropea ai pomodorini secchi, o nell’insolito incontro con la ‘nduja; e poi la ‘nduja da sola, da gustare sul pane o sulla pasta, la confettura di arance, i peperoncini ripieni di tonno: praticamente l’aperitivo è servito! Senza dimenticare che sullo shop le box si possono anche personalizzare con i propri prodotti preferiti. Sapori che richiamano immediatamente la Calabria. Come l’abbinamento tonno e cipolla: «diffusissimo nei ristoranti. Molto amata è anche la cipolla cotta al forno o grigliata, condita con qualche goccia di aceto balsamico (che ovviamente non è calabrese) e proposta come contorno al tonno o anche alla carne». Ma il tonno non è il solo pesce in conserva che si può gustare in Calabria: «si fa la pasta con le alici e la mollica, e nel Cosentino si usa molto il baccalà sottolio». E il baccalà si propone in tanti modi diversi, protagonista nel Cosentino, anche sulla tavola di Natale: «lo fanno con cipolle e olive nere, e con le patate che si disfano formando una cremina; tutto aromatizzato con l’origano: quello di Paola, tipico e meravigliosamente profumato».

E se l’abbondanza è la cifra stilistica di ogni pranzo che si rispetti in Calabria, a Natale diventa un imperativo categorico: «Bisogna considerare – racconta Lidia Baratta – che la tradizione vuole che il 24 dicembre per il cenone della Vigilia le portate non siano mai meno di 13!». E se gli antipasti non devono mai mancare, ci sono piatti che rappresentano un vero e proprio spaccato della Calabria a tavola. Chi vuole realizzare una cena regionale doc non deve dimenticare alcune specialità: «tra i primi, pasta e patate alla tiella: per prepararla si mettono nel “ruoto” le patate e la pasta pasticciate, con il caciocavallo, si passa al forno e deve fare la crosticina; poi il pasticcio di funghi e patate, super cremoso. Ancora patate tra i contorni, “mpacchiuse”, ossia appiccicose, cotte in acqua e olio con cipolla o peperoni. Quali patate? Quelle della Sila. E dalla Sila vengono anche i legumi, meno noti ma ottimi». Del resto la ricchezza gastronomica della Sila è indiscutibile. «Sta emergendo un giovane chef, Emanuele Lecce che nel suo ristorante  tra le altre cose realizza una sorta di drive in con dei deliziosi panini gourmet, che si possono portare via e gustare sulla spiaggia del lago».

Il menu continua con i secondi: «il baccalà, si diceva, o nel Reggino lo stoccafisso; e se si sceglie la carne, salsiccia e rape. La carne di maiale è parte integrante della tradizione locale, così come il rito della macellazione. Sono pochi i tagli che si usano freschi, la maggior parte è destinata alla produzione di salami o di conserve. Qui il maiale per eccellenza è il Nero di Calabria. E davvero non se ne butta niente. Ma se ne ricavano autentiche tipicità. Come gli “scarafuogli”, realizzati con gli scarti – orecchie, muso, piedi – che vengono fatti bollire nell’acqua con il sale, in modo da far sciogliere il grasso per ricavarne una crema densa che si deposita sul fondo della pentola, da spalmare sul pane o impastare nelle torte rustiche. Poi si fa la gelatina, con i pezzi solidi più o meno magri profumati con l’aceto, e la si mangia a fette. Si faceva anche un sanguinaccio dolce con il sangue di maiale e il cioccolato». E poi i dolci: «buccunotti e bucchinotti con la marmellata di arance, chinulilli fritti e poi “ammielati” coperti di miele, possibilmente di fichi. Poi i fichi secchi in tutte le forme, lisci, ripieni o coperti di cioccolato. E per Natale, i torroncini di Bagnara Calabra e la pitta ’mpigliata di San Giovanni in Fiore».

Un vino per accompagnare la nostra serata calabrese? «Quello di cantine Statti di Lamezia. E a chiudere il caffè, ma attenzione ai campanilismi: a Cosenza Caffè Aiello, mentre a Catanzaro Caffè Guglielmo. Non basta: la rivalità tra le due città non è solo calcistica o limitata al caffè, ma si estende a una bevanda amatissima in Calabria, la gassosa al caffè: a Cosenza si beve Moka Drink, a Catanzaro Brasilena ». Non basta ancora per portare il sapore della Calabria in tavola? Chiudiamo con un amaro: il classico Vecchio Amaro del Capo o il premiatissimo Jefferson.

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