Il prolungarsi e il complicarsi della battaglia contro il Covid ha avuto se non altro l’effetto di aprire un dibattito nel mondo dell’informazione – ed era ora – sull’opportunità di dare spazio ai no vax, e in generale a qualunque santone, sciamano o scimunito di passaggio, perlomeno quando si tratta di salute.
Dalla direttrice del Tg1, Monica Maggioni, al direttore del Tg La7, Enrico Mentana, in molti sono intervenuti per riaffermare principi che dovrebbero essere scontati, a cominciare dal dovere di non mettere conclamati ciarlatani sullo stesso piano dei più autorevoli scienziati.
Prevengo l’obiezione: dire che li si invita proprio per smontarne le tesi, magari perché li si costringe a giocare uno contro dieci, non è un buon argomento, né in linea di principio né dal punto di vista pratico. Perché anche quello è un modo di dar loro importanza e spazio in misura del tutto sproporzionata. Perché nessuno, forse nemmeno quelli che ci lavorano, ascolta una trasmissione televisiva dal primo all’ultimo minuto, parola per parola. Perché l’effetto prodotto da quei brandelli d’informazione varia da persona a persona, per milioni di motivi. E perché nessuna confutazione in diretta televisiva compensa la legittimazione e la popolarità conferite al ciarlatano di turno dal semplice fatto di essere apparso in tv, tanto più se circondato da scienziati e intellettuali autorevolissimi.
Già che ci siamo, a proposito di intellettuali e di autorevolezza, chiariamo un’altra cosa: non esistono interlocutori autorevoli e qualificati a prescindere. Massimo Cacciari e Roberto Burioni, per dire, sono entrambi due affermati e qualificatissimi studiosi, ciascuno nel proprio campo, il che non fa di nessuno dei due un tuttologo. Può darsi che Burioni coltivi sin da giovane una passione sfrenata per Heidegger e ne sappia moltissimo, ciò non toglie che non sarebbe un interlocutore qualificato per un dibattito sul significato di Essere e Tempo. Per la stessa ragione Cacciari non è un interlocutore qualificato per discutere di sicurezza dei vaccini, effetti collaterali e farmacovigilanza.
Lo dico perché non c’è bisogno di invitare un tizio con indosso una pelle di bisonte e le corna sulla testa per ottenere lo stesso risultato. Ma va in ogni caso accolto con sollievo il fatto che di questo genere di problemi almeno si cominci a discutere, senza nascondersi dietro l’alibi del pluralismo e del rifiuto di ogni censura. Del resto, nessuno si aspetta che nelle previsioni del tempo si senta anche il parere di uno stregone della pioggia. O che si metta il colonnello dell’aeronautica a confronto con Piero Pelù sulla teoria delle scie chimiche. Si tratta forse di censura? È forse anche questa una carenza di pluralismo?
È ovvio che il pluralismo non c’entra niente. C’entra, invece, una certa idea di informazione-spettacolo (che riguarda soprattutto, ma non solo, la televisione) e una certa idea di informazione-propaganda (che riguarda soprattutto, ma non solo, i giornali). C’entra soprattutto un certo modo di fare i talk show, contrario a tutti i principi più elementari del giornalismo, quali si tramandano da secoli in tante semplici frasi fatte, la cui banalità appare oggi tragicamente misconosciuta. Esempio: compito di un giornalista non è mettere a confronto chi dice che piove e chi dice che c’è il sole, ma aprire la finestra e verificarlo.
I dati angoscianti riportati dal Censis sul gran numero di italiani convinti che la Terra sia piatta, che il Covid non esista e i vaccini non servano ci dicono che da troppo tempo i mezzi di comunicazione hanno smesso di aprire la finestra, verificare come stanno le cose e darne conto al loro pubblico, assumendosene la responsabilità. Non sono stati equidistanti, perché tra un truffatore e un onesto professionista non esiste una posizione neutrale: mostrarsi equidistanti significa, di fatto, rendersi complici del truffatore.
Senza entrare nelle polemiche che hanno riguardato alcune trasmissioni Mediaset più inclini a un certo genere di spettacolarizzazione dell’informazione su questi temi, secondo alcuni sospese per non turbare la corsa al Quirinale del loro editore, secondo i conduttori per una normalissima pausa natalizia, tutto sembra confermare l’emergere di una diversa sensibilità, almeno in materia di salute pubblica.
Il passo successivo dovrebbe essere domandarsi se un simile soprassalto di responsabilità debba limitarsi esclusivamente alle questioni legate alla sanità, e se non vi sia un collegamento tra un simile modo di fare informazione e comunicazione, da molto prima del Covid, e la situazione in cui ci troviamo. Ma Roma non è stata costruita in un giorno. Intanto, accontentiamoci del primo passo, e speriamo che almeno questo sia presto compiuto da tutti.