«Contro il bipopulismo» è il nostro slogan dell’ultimo anno e si aggiunge al precedente «l’alleanza contro gli stronzi», due sfumature del medesimo percorso politico ed editoriale che nel suo piccolo Linkiesta ha deciso di intraprendere da fine 2019.
Il concetto è semplice: prima di ogni altra cosa, prima di tornare a dividerci sull’intervento dello Stato nell‘economia, sulla pressione fiscale, sulla globalizzazione, sulle limitazioni alle politiche migratorie, sugli ammortizzatori sociali e sulle politiche attive del lavoro è necessario difendere con le unghie le fondamenta della democrazia e della società aperta dagli attacchi interni ed esterni di nazionalisti, sovranisti e giustizialisti che in questi anni assieme al virus corona hanno fatto vacillare la casa comune.
Il nemico del mondo libero è il populismo, alimentato dai reduci e dai nostalgici delle due calamità ideologiche del Novecento, sconfitte ma rimaste in sonno. Lo definiamo «bipopulismo perfetto» perché non c’è nessuna differenza tra i populismi di destra e di sinistra: l’analfabetismo democratico è identico ed entrambi hanno vocazione autoritaria e progetti illiberali.
Il compito delle forze democratiche e liberali, dei loro leader, dei gruppi di pressione, delle associazioni, degli intellettuali, delle comunità locali e perfino di un piccolo giornale di opinione come il nostro è quello di contribuire a formare un discorso pubblico informato e depurato dalle post verità che confinano con le fake news, in modo da consolidare i pilastri della società aperta e da mitigare gli eccessi del sistema capitalistico garantendo a tutti pari opportunità di partenza e costruendo una rete di salvataggio sociale per chi non ce la fa.
È il modello FDR, riadatto all’oggi. Dopo la Grande Depressione degli anni Trenta, il presidente americano Franklin Delano Roosevelt ricostruì il paese senza rinnegare il sistema capitalista, ma affiancandogli i primi programmi sociali del welfare state perché era doveroso farlo e ma anche per evitare che la grande libertà dell’esperimento americano potesse essere soppiantata dalle pericolose tentazioni comuniste o fasciste tanto di moda in quegli anni in Europa. La stessa cosa sta facendo oggi Joe Biden, riconoscendo nuovi diritti e finanziando nuovi programmi sociali e ambientali per provare a uscire dalla crisi economica e a salvare il sistema in modo che non finisca di nuovo nelle mani autoritarie es eversive di Trump.
Oggi, insomma, serve a poco misurare il grado di liberalismo di chi difende la democrazia italiana, ed è dannoso far prevalere rancori caratteriali e risentimenti personali: prima di ogni cosa è necessario allontanare il bipopulismo dalle stanze del potere, il resto non conta. Poi si vedrà e ci sarà tempo per dividersi su linee ideologiche tradizionali.
Rispetto allo scorso, siamo messi decisamente meglio. Il Covid è quasi sotto controllo, i Cinquestelle stanno sparendo, la destra sovranista ha perso smalto, a Palazzo Chigi c’è Mario Draghi e alla Casa Bianca c’è Joe Biden. Le cose cambiano, è possibile cambiarle in meglio. L’errore, però, è pensare che la partita sia conclusa. Non è così.
Una forte coalizione liberaldemocratica ancora non c’è, nonostante i buoni esperimenti a Roma con Carlo Calenda e a Milano con i riformisti per Beppe Sala, ma nessuno ancora sembra in grado di raccogliere l’agenda Draghi in modo credibile.
Il Partito democratico continua nel suo incredibile corteggiamento ai Cinquestelle e, dalla Zan al Quirinale, sembra lavorare senza sosta per allontanare possibili alleati e per regalare vittorie politiche agli avversari.
Solo che il Quirinale non è la Zan. E nemmeno Palazzo Chigi è un giochetto da Cirinnà, Boccia e compagnia. Non sarà banale trovare un accordo politico che consenta a Draghi di terminare la legislatura, al Parlamento di mandare al Colle un garante della Costituzione e alle forze liberali di costruire un ampio rassemblement repubblicano intorno all’agenda Draghi con cui presentarsi alle elezioni del 2023.
I liberali e i democratici, e tutti quelli che hanno a cuore il sistema che ha garantito libertà e diritti e distribuzione della ricchezza dal Dopoguerra a oggi, dovrebbero puntare su questo, senza esclusioni personali, non importa con quale formula e mettendo da parte il resto perché tutto è secondario rispetto all’obiettivo primario di salvare la Repubblica.
Francesco Cundari, su questo giornale, ha anche indicato un pacchetto minimo di tre riforme da adottare subito per mettere in sicurezza la democrazia: una legge proporzionale che garantisca la presenza di tutti nel prossimo Parlamento, il ripristino del finanziamento pubblico ai partiti e la revisione della legge Severino che di fatto, insieme, hanno messo fuorilegge la politica. Aggiungerei anche la riforma dell’articolo 114 del codice di procedura penale, come proposto da Cataldo Intrieri sempre su Linkiesta, la cui ambiguità interpretativa continua a far tracimare sui giornali verbali, intercettazioni e altre contumelie para-giudiziarie in violazione del principio della presunzione di innocenza.
Fate presto e bene.