Il Bored Apes Club è uno degli esperimenti più riusciti nel campo degli NFT, i non-fungible token che hanno ispirato l’ennesima corsa all’oro del settore crypto. Questa serie di immagini ritrae delle strane scimmie vestite e addobbate in vari modi: un esemplare può valere milioni di dollari. Per questo le Apes sono diventate un nuovo strumento di show-off per rapper, star e campioni dell’NBA, da Eminem a Stephen Curry passando per Jimmy Fallon.
Ma da dove vengono? E, soprattutto, perché l’animale di riferimento del Club è proprio una scimmietta? Sembrerebbero domande secondarie, ma una recente indagine dell’artista concettuale statunitense Ryder Ripps ha messo in fila alcuni interessanti legami tra il progetto Bored Apes Club e l’alt-right americana. Più precisamente, le sue frange più razziste, legati agli angoli più lerci di 4chan e altri forum online. Tra le molte prove raccolte da Ripps nel suo post la prima e più importante è proprio la scelta dell’animale incriminato, che sarebbe l’ultimo esempio di una lunga tradizione razzista di riduzione del diverso, soprattutto delle persone nere, a scimmie, appunto. In gergo si chiama simianizzazione, un caso particolare di animalizzazione, le cui eco sono riscontrabili anche nelle proteste razziste in cui ai giocatori di calcio di colore vengono tirate delle banane, per esempio.
Coincidenze, potrebbe dire qualcuno. E se i creatori di questa linea di NFT fossero semplicemente amanti di questi animali? Che bisogno c’è di tirare in mezzo il razzismo? Sono domande più che giuste. Ma siamo solo all’inizio di una storia che conta innumerevoli, coincidenze – forse fin troppe. Il logo stesso del progetto ricorda da vicino quello della divisione nazista Totenkopf, compreso lo stesso numero di denti raffigurati nel teschio: 18.
Il diciotto è peraltro un numero molto caro ai neonazisti, che lo usano per indicare le iniziali Adolf Hitler (la A è la prima lettera dell’alfabeto, la H l’ottava). Se può sembrare strano dare tanta importanza a un semplice numero, può essere utile ricordare come i suprematisti bianchi utilizzino tecniche simili. Ad esempio, i numeri 14 e 88, che fanno ricondurre ad alcune “massime” del noto neonazista americano David Lane e che fanno ormai parte dell’iconografia dei movimenti più estremi degli Stati Uniti (e non solo).
In questi NFT si riscontra poi l’uso estensivo delle camicie hawaiane, altro elemento innocuo capo trasformato in divisa e simbolo dal movimento d’estrema destra Boogaloo, tra i più attivi della alt-right trumpiana. La copertina che il magazine Rolling Stone ha dedicato pochi mesi fa ai Bored Apes (sì, è successo davvero), mostrava una scimmia con un berretto piuttosto simile a quelli utilizzati dalle SS naziste. E poi ci sono i nickname dei creatori del progetto, che risultano legati alle retoriche e ai meme propri dell’antisemitismo e del suprematismo bianco.
Ma perché cercare significati nascosti in un progetto così, come dire, leggero e spensierato? Innanzitutto, perché si tratta ormai di un business milionario, ma anche perché i suoi creatori sono tuttora anonimi. Sconosciuti. Uno di loro, tale Gargamel (ovvero Gargamella, personaggio dei Puffi ritenuto essere una caricatura antisemita – e usato come tale su 4chan), ha dichiarato che dietro a queste scimmie annoiate c’è «un messaggio nascosto», tirando in ballo la teoria dell’iceberg secondo cui un significato recondito c’è ma è, appunto, nascosto ai più).
Il legame stretto e, potremmo dire, primordiale, tra estrema destra e criptovalute è ormai cosa nota. Il Southern Poverty Law Center, centro che studia e combatte il razzismo negli Stati Uniti, ha trovato 600 indirizzi usati nelle criptovalute «associati a suprematisti bianchi ed estremisti di destra». Personaggi come «Greg Johnson di Counter-Currents, l’esperto di pseudoscienze Stefan Molyneux e Don Black del forum razzista Stormfront, hanno tutti investito in Bitcoin agli inizi della sua storia, ottenendo un enorme profitto». La stima del tesoretto in crypto dell’estrema destra è difficile da calcolare ma è nell’ordine delle decine di milioni di dollari, «una somma che quasi certamente non avrebbero a disposizione senza le criptovalute», secondo il Center.
Insomma, dopo le scimmie annoiate ecco le balene razziste e neonaziste. Non siamo impazziti: nel gergo del crypto per whale (balena) si intende chi è in possesso di enormi quantità di criptovalute. Nella maggior parte dei casi, si tratta di persone che hanno investito nel settore molto presto, riuscendo a mettere mano su grandi quantità di Bitcoin quando ancora costavano un’inezia. Secondo il programmatore e futurologo Jaron Lanier, «ci sono prove che confermando come molti di loro non siano proprio le persone che vorresti supportare». Del resto anche la criminalità organizzata ha imparato ad amare il crypto per compiere discutibili passaggi di denaro in tutta sicurezza – almeno per loro.
Ciò significa che tutti quelli che hanno investito nel settore sono criminali e/o razzisti? Ovviamente no: quello del crypto è un mondo enorme, un fenomeno ormai endemico e, agli occhi della maggioranza dei suoi utenti, specie quelli occasionali, del tutto slegato dalla politica. Ma c’è chi ha scommesso tutto sin dall’inizio nella speranza di trovare una fonte di introiti parallela e ombra, specie dal momento che sempre più grandi piattaforme digitali hanno cominciato a bandire gli utenti più estremisti, radicali e pericolosi. Chissà, lo stesso potrebbe essere successo anche con gli NFT, usati da razzisti ed estremisti come un bottino da riscuotere sulle spalle di chi, semplicemente, voleva spendere tantissimi soldi per un’orrenda scimmietta.