Hanno detto che Mario Draghi era scappato dopo il Consiglio dei ministri, che «non ci aveva messo la faccia». E invece no. Mario Draghi non è uno che scappa. Venerdì scorso non poteva fare una conferenza stampa alle 22, quelle le faceva Rocco Casalino allestendo il cortile di palazzo Chigi come un set cinematografico o una terrazza romana – mancava solo la musica e qualche tartina – e poi bisognava attendere la pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale (e qui sì che hanno fatto qualche pasticcio) ma insomma alla fine l’incontro con i giornalisti si tiene oggi pomeriggio: chi scappa?
Vedremo come il premier risponderà alle obiezioni su un decreto che è parso, ed è, una mediazione (perché obbligo di vaccinazione solo per gli over 50? Perché così voleva la Lega), una serie di norme che nell’insieme sono sembrate a molti critici confuse, scritte male. Anche se, infine, gli italiani una cosa l’hanno capita: che se vogliono avere una vita, date le circostanze, il più possibile normale devono vaccinarsi: questo è il messaggio arrivato, tanto è vero che le vaccinazioni si sono subito impennate.
Sussistono vari problemi, il più importante è quello, molto serio, che riguarda le scuole. Il governo ha scelto di aprire da oggi, ma il caos regna sovrano, e vedremo se sarà stata un’opzione giusta oppure da rivedere. Molti sapientoni non tengono conto dell’evoluzione del virus che rende inevitabile un approccio pragmatico, da verificare a cose fatte: e si sbaglia pure, ci mancherebbe. È già successo e succederà, in una battaglia piena d’imprevisti rapidissimi come questa.
Il premier spiegherà. Difenderà le scelte. Darà impulso all’immagine di un governo che negli ultimi tempi si è logorata e non solo dal punto di vista strettamente politico: se non c’è in campo lui, la squadra funziona poco. È un dato di fatto. Che contraddice le speranze di chi pensava a un governo di tipo nuovo anche sotto il profilo appunto del gioco di squadra e dell’abilità dei singoli ministri, abilità che in diversi casi non si è vista, e non in settori secondari. Alcuni ministri sono letteralmente spariti, altri sembrano stanchi, con la testa già a nuove e più eccitanti avventure, è un bizzarro fenomeno di questi ultimi tempi, politici che salgono i gradini, arrivano a destinazione e si annoiano subito mentre agognano nuovi incarichi: ma ve lo immaginate un Carlo Donat-Cattin, un Emilio Colombo, un Antonio Giolitti “stanchi” di un incarico ministeriale?
Ma tornando al problema politico del governo, Draghi sa bene che il quadro è cambiato. Avverte che non c’è quella spinta dei partiti – diciamo meglio, quel sostegno dei leader – che nei momenti complessi è decisivo. Dove sono l’appoggio di Enrico Letta, l’entusiasmo di Matteo Renzi, il controllato sostegno di Forza Italia? E quindi la domanda è: fino a che punto un uomo della sua caratura, che capisce benissimo la politica ma non è un politico, può tollerare di camminare su una strada scoscesa, piena di buche, una strada – fuor di metafora – fatta di mediazioni al ribasso, di do ut des, di accordicchi?
Ecco allora che, come abbiamo già scritto, le strade sono essenzialmente due: o si lascia perdere, con tutte le incognite del caso, o si rinnova il patto di maggioranza. Si esce dal galleggiamento. Per questo è importante decrittare oggi il tono di Mario Draghi, capire se è ancora il commander-in-chief, osservare la verve che pervaderà o non pervaderà le sue risposte ai giornalisti. Dribblerà le domande sul Quirinale meglio di come (non) aveva fatto alla conferenza stampa di fine anno, e mal gliene incolse. Andrà al merito delle questioni. Ma “come” ci andrà, ecco, sta qui l’odierno banco di prova del presidente del Consiglio.