Impact entrepreneurLa rivoluzione silenziosa che sta cambiando il capitalismo

Come spiega Ronald Cohen nel nuovo libro edito da Luiss Up, le iniziative sociali devono avere un legame positivo con gli investimenti. Capendo la logica che anima le scelte degli imprenditori si possono creare le basi per finanziare aziende e organizzazioni umanitarie orientate a raggiungere uno scopo utile per la società

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Cominciai a rendermi conto che avevamo bisogno di un sistema che allineasse gli interessi delle aziende, degli investitori e degli imprenditori a quelli dei governi e di organizzazioni non-profit, filantropi e impact company e li spingesse a lavorare insieme per migliorare la vita delle persone e l’ambiente. Ma quali caratteristiche avrebbe potuto avere? La risposta si rivelò semplicissima: le iniziative sociali dovevano avere un legame con gli investimenti, cosa che avrebbe messo gli imprenditori in condizione di finanziare aziende e organizzazioni umanitarie orientate a raggiungere uno scopo. Questo sistema ci avrebbe consentito di sfruttare i talenti imprenditoriali e l’innovazione per affrontare vecchi problemi in modi nuovi.

Così come gli imprenditori tech sono riusciti a dar luogo a un cambiamento con l’aiuto del capitale di investimento, gli impact entrepreneur possono avanzare verso la risoluzione dei problemi più pressanti della nostra epoca. Quando ci troviamo ad affrontare sfide sociali o ambientali di enorme entità, dobbiamo adeguare il nostro approccio di investimento per vincerle. Gli investimenti sono il carburante che alimenta il nostro sistema economico, e per attrarre gli investitori è utile prima di tutto vedere il mondo attraverso il loro stesso filtro. Ciò significa focalizzarsi sul profitto e sull’impatto, valutando i successi ottenuti in base a esiti misurabili.

La ricontestualizzazione di una sfida sociale come opportunità per investire nelle nostre comunità non è solo un’utile metafora; può generare rendimenti finanziari allettanti e conquistare l’interesse di persone che, altrimenti, potrebbero usare il loro talento e i loro investimenti al solo scopo di far soldi. Fondai Bridges Fund Management nel 2002 insieme a Philip Newborough, un ex collega di Apax, e Michele Giddens, che era stata il mio braccio destro nella Social Investment Taskforce, con l’obiettivo di convogliare il venture capital verso le zone più povere del Regno Unito.

L’idea era semplice: avremmo finanziato società situate nel 25 per cento più povero del Paese per migliorare la vita degli abitanti più poveri del Regno Unito. Volevamo avere un impatto mediante gli investimenti, così ci mettemmo a pensare come investitori e ci proponemmo di trovare un modo per avere un impatto misurabile, e al tempo stesso generare un rendimento finanziario annuo del 10-12 percento. Sono passati diciotto anni da allora, e Bridges nel frattempo ha raccolto oltre 1 miliardo di sterline e ha generato un rendimento annuo medio del 17 per cento. Un punto altrettanto importante è che nel frattempo ha avuto un impatto significativo: nel solo 2017 ha offerto 1,3 milioni di ore di assistenza di qualità, ha erogato servizi sanitari a 40.000 persone, ha evitato l’emissione di oltre 30.000 tonnellate di CO2, ha impiegato direttamente oltre 2600 persone e ha aiutato più di 2600 bambini a ottenere risultati scolastici migliori.3 Grazie ai nostri investimenti abbiamo contribuito alla crescita di alcune delle migliori impact company del Regno Unito.

Il governo britannico sostenne il primo fondo di Bridges mediante un investimento da 20 milioni di sterline, e in questo modo l’aiutò ad attrarre capitali privati. Diede supporto nel 2008 anche a un’altra importante iniziativa sociale, a seguito delle raccomandazioni della Commission on Unclaimed Assets, che io stesso avevo formato tre anni prima. Il governo laburista approvò una legge in base alla quale i soldi che giacevano in conti bancari non reclamati4 sarebbero stati usati per perseguire tre scopi di natura sociale: la creazione di una banca di investimenti sociali, propugnata dalla Social Investment Task Force nel 2000, l’inclusione dei giovani e la cosiddetta financial inclusion [cioè l’erogazione a costi contenuti di servizi finanziari di base agli individui bisognosi che soddisfano certi requisiti, N.d.T.].

Quattro anni dopo, una parte di questi fondi, pari a 400 milioni di sterline, più altri 200 milioni di sterline forniti dalle quattro principali banche britanniche, furono usati per creare Big Society Capital (Bsc), la prima “banca di investimenti sociali” al mondo. L’istituto fu lanciato da David Cameron presso la Borsa di Londra nell’aprile 2012. Bsc da allora ha dato un impulso significativo agli investimenti in organizzazioni umanitarie, che in questo modo hanno acquisito una capacità completamente nuova di crescere e di innovare.

da “Impact. La rivoluzione che sta cambiando il capitalismo”, di Ronald Cohen (traduzione di Matteo Vegetti), Luiss University Press, 2022, pagine 188, euro 20

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