Obiettivi greenIl nucleare è un mezzo, non un fine

La situazione dell’impiego dell’atomo in Europa prevede investimenti per 550 miliardi nei prossimi trent’anni, nella speranza che possa indirizzare in modo decisivo la transizione alle energie rinnovabili. Ma il percorso è lungo e accidentato

Unsplash

Si fa presto a dire tassonomia. Se, come sembra, il nucleare entrerà, per ragione di concretezza, nell’elenco delle fonti energetiche che l’Ue ritiene sostenibili (o meglio: necessarie a raggiungere gli obiettivi di sostenibilità energetica entro il 2050) questa ipotesi non si realizzerà da sola.

Anzi. Richiederà, oltre che poderosi sforzi politici per superare la diffidenza che da anni accompagna il settore, anche un sacco di soldi. E 550 miliardi, all’incirca, da qui al 2050. Miliardo più, miliardo meno.

La stima arriva direttamente dal commissario per il mercato interno, Thierry Breton, che pochi giorni fa ha detto al quotidiano Journal du Dimanche che «le sole centrali nucleari esistenti avranno bisogno di 50 miliardi di euro di investimenti da qui al 2030. E quelle di nuova generazione avranno bisogno di 500 miliardi di euro».

I soldi, in buona sostanza, serviranno sia per la manutenzione delle centrali esistenti (l’età media degli impianti è di circa 40 anni, poiché nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di costruzioni degli anni ‘80), che necessitano di ammodernamenti per la loro messa in sicurezza e per la loro maggiore resa energetica (senza la quale il gioco non varrebbe la candela), sia per la costruzione di nuove centrali.

Già, la costruzione di nuove centrali. A proposito di cose più facili a dirsi che a farsi.

Al momento, in Ue, sono in costruzione solo quattro centrali nucleari: una in Francia, una in Finlandia e due in Slovacchia. Altri impianti, una dozzina circa, sono stati progettati e sono in attesa di ricevere il via libera. Sono tutti in Paesi dell’est Europa: due in Bulgaria, tre in Repubblica Ceca, due in Lituania, sei in Polonia, una in Romania, una in Slovacchia, 1 in Slovenia. 

Sul suolo dell’Unione ci sono oggi 103 centrali nucleari, la metà delle quali, 56, si trova in Francia. Le centrali europee producono, ad oggi, circa 700 terawattora, un quarto del totale dell’energia generata dall’UE (2 778 terawattora nel 2019).  

L’idea europea di inserire il nucleare nella tassonomia verde e di aprire agli investimenti (a questo punto possiamo dire: corposi) sul nucleare non è però da intendere come una decisa scelta di investire sul nucleare e usarlo come unica via, quasi fosse una scorciatoia, per raggiungere la neutralità energetica. 

No. L’idea è che il nucleare faccia da ponte, tra la situazione di oggi, nella quale il 43% circa della nostra produzione di energia arriva da fonti fossili, a una situazione nuova. Una situazione in cui le fonti fossili, semplicemente, scompaiano. E siano sostituite da fonti rinnovabili. 

Solo che il percorso è lungo e molto dispendioso: Nell’Ue, la Commissione europea stima che il raggiungimento dell’obiettivo climatico 2030 richiederà investimenti annuali aggiuntivi in ​​media di 360 miliardi di euro, a partire da ora.

Per questo chi punta sul nucleare, punta su un’energia che ci liberi, almeno in parte dalle emissioni e che ci consenta di vivere, produrre, lavorare, viaggiare, fino a quando le rinnovabili saranno in grado di farlo da sole. Per questo, nel corso della sua intervista Breton ha detto che se oggi il blocco ottiene il 26% della sua energia dal nucleare, entro il 2050 questa fetta potrebbe ridursi fino al 15%. Perché? Perché per allora potremmo aver compiuto, noi o i nostri figli, la transizione energetica alle rinnovabili. E il nucleare, potrà essere accantonato, come il petrolio e il carbone. Solo che costerà, e parecchio.

 

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter