«Entro la settimana, spero non oltre giovedì o venerdì». È la previsione Matteo Renzi, leader di Italia Viva, fa sul Messaggero circa la data di elezione del nuovo presidente della Repubblica, successore di Sergio Mattarella.
Mentre le trattative dirottano sul premier Mario Draghi, con i partiti di maggioranza che lavorano al rimpasto di governo, Renzi esclude l’ipotesi di un Mattarella: «Non è praticabile, come ha perfettamente spiegato lo stesso Mattarella. Tirarlo per la giacchetta serve solo a coprire l’incapacità della politica di trovare soluzioni alternative. Il Presidente ha terminato il proprio settennato e non intende farne un altro: aiuterà l’Italia come senatore a vita, da Palazzo Giustiniani».
Il giorno dopo la prima chiama, in cui hanno prevalso 672 schede bianche, Renzi spiega che «ancora siamo al wrestling verbale: dichiarazioni roboanti, incontri inutili fatti filtrare, movimentismo di chi vuole farsi notare più che trovare una soluzione. Il mio è un appello alla serietà: non perdiamo altro tempo. La crisi geopolitica, la pandemia, l’inflazione, il costo delle bollette e delle materie prime chiedono alla politica di non buttare altro tempo».
Una delle ipotesi in campo è «Draghi al Quirinale con un grande accordo politico», dice. Ma «l’idea di perdere Draghi anche come premier non sta in piedi: può lasciare Chigi solo per un trasloco istituzionale. Altrimenti si scelga un uomo o una donna di equilibrio per la funzione di Capo dello Stato lasciando a Draghi la responsabilità di governo per l’anno e mezzo che ancora ci manca. Di tutte le possibilità l’unica che non esiste è che Draghi se ne vada da tutto».
Secondo Renzi, la composita coalizione di governo reggerebbe con un altro presidente del Consiglio «se l’esecutivo fosse rinforzato anche politicamente. Però non ho dubbi sul fatto che l’esecutivo sarebbe comunque più forte con alla guida Mario Draghi: nessuno più di lui oggi ha la reputazione di un uomo credibile e vincente in Europa, nessuno».
Ora, dice il senatore di Italia Viva, con il segretario del Pd Enrico Letta «condividiamo l’idea che serva una soluzione politica. Perché è finito il tempo della demonizzazione della politica e dei partiti: la centralità del Parlamento è fondamentale per la Costituzione. Serve una Presidenza della Repubblica che aiuti il processo di cambiamento della politica senza tendenze populiste o anti partitiche. Mi pare che lo pensi anche Letta, questo è importante».
Berlusconi invece «ha scelto di seguire i suoi consigliori che secondo me lo hanno portato a sbattere. E comunque i colloqui di queste ore più restano riservati, meglio è. Comunque non vedo Berlusconi dal gennaio 2015: mi ha giurato vendetta dopo la vicenda Mattarella ma col senno di poi lo rifarei. È stata una decisione che ha fatto bene all’Italia, il resto non conta». Ma, spiega, «la candidatura di Berlusconi non esisteva, non esiste, non esisterà. Aver esposto l’ex presidente del Consiglio a questa figuraccia è stato prima di tutto umanamente ingiusto verso il Cavaliere. Detto questo io a Berlusconi ho sempre detto in faccia ciò che pensavo».
Poi «tocca a Salvini e i suoi colleghi decidere se giocare la carta dello statista o fare come Bersani, perdendo la possibilità di decidere il Presidente».
Finora si è perso tempo e «in parte è fisiologico», spiega Renzi. «Ma adesso vedo troppe chiacchiere e poca sostanza».
Ma il rischio della “palude”, che si vada oltre questa settimana per l’elezione del capo dello Stato, non esiste: «Con i tempi dei social e la pressione dell’opinione pubblica entro la settimana si chiude».
E una volta eletto il Presidente, però, «tornerà magicamente in campo il tema delle riforme costituzionali. Prima o poi sarà chiaro a tutti che l’occasione sprecata cinque anni fa tornerà al centro del dibattito politico».